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Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliPiù 2mila opere compongono una delle collezioni private di arte latinoamericana più importante del mondo, riunita da Jorge M. Pérez (Buenos Aires, 1949), impresario immobiliare di fama mondiale, in prima linea nella trasformazione urbana del sud della Florida da oltre 35 anni. La celebre collezione, che abitualmente è visibile nel Pérez Art Museum di Miami, costruito da Herzog & de Meuron, si presenta per la prima volta in Spagna nel Centro Andaluz de Arte Contemporáneo (Caac), dal 2 marzo al primo settembre, con la curatela della nuova direttrice del museo Jimena Blázquez Abascal.
Archiviata la polemica che ne aveva offuscato la nomina, Blázquez inizia il suo percorso alla guida del Caac collegandolo alla direzione del suo centro d’arte, la Fundación Montenmedio Contemporánea di Vejer de la Frontera. Il suo primo progetto conferma il carattere di continuità e la determinazione a proseguire nell’approfondimento dei legami con l’America Latina. «Territorios: Arte Contemporáneo Latinoamericano en la Colección Jorge M. Pérez» punta su grandi nomi e su contenuti politici e sociali di ubiqua attualità: l’importanza della geopolitica, il colonialismo e la decolonizzazione, la razza e la miscela di etnie e culture, le tradizioni ancestrali, l’impatto tecnologico e la violenza in tutte le sue forme, soprattutto contro le donne.
«Senza volere offrire una panoramica storiografica dell’arte latino-americana, la selezione affronta questioni di genere, identità e razza, le possibili cartografie della regione, il significato dei materiali, il rituale e lo spirituale, il colonialismo e la violenza, nonché esempi specifici dell’astrazione geometrica nell’arte latinoamericana», ha spiegato Jimena Blázquez a «Il Giornale dell’Arte», sottolineando la presenza di un gran numero di artiste tra cui Leonor Fini, Ana Segovia, Ana Mendieta, Nohemí Pérez, Sandra Vásquez de la Horra, Teresa Margolles, Marta Minujín, María Teresa Hincapié, deceduta prematuramente nel 2008, Belkys Ayón, protagonista di una splendida mostra al Museo Reina Sofía di Madrid due anni fa, e la brasiliana María Nepomuceno, che apre il percorso con un’installazione nella quale stabilisce un rapporto tra corpo e natura, microcosmo e macrocosmo, attingendo alla memoria ancestrale di un territorio in continua evoluzione, per materializzare un incontro tra passato, presente e futuro.
«La collezione Pérez conferma la capacità dell’arte non solo di generare immagini emozionanti, ma di analizzare la polifonia di una terra attraverso opere che si tramutano in testimonianze potenti degli eventi storici e sociali che hanno plasmato la regione», ha aggiunto Blázquez, che fa precedere il suo testo in catalogo da una poesia di Pablo Neruda, un’ode all’America Latina e alla creatività della sua gente. «…Terra fertile, culla di artisti ribelli, dove il verso è libero dalle catene, dove la fantasia non conosce limiti…. dove la creatività è rivoluzione e speranza», la definisce Neruda e la mostra cerca di plasmare questo sentimento attraverso le opere di più di 50 artisti suddivise in capitoli, ma presentate in modo da offrire anche una lettura trasversale che rafforza l’idea della polifonia culturale latinoamericana.

«Huapango Torero» (2019) di Ana Segovia. Cortesia dell’artista e della Karen Huber Gallery (particolare)

«Sphère rouge (Red Sphere)» (2001—12) di Julio Le Parc. Foto Oriol Tarridas

«La estatua de la Libertad» di Marta Minujín
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