Belkis Ayón cubana apocalittica

Una selezione di 50 collografie è il pezzo forte della prima retrospettiva dell’artista in Europa organizzata dal Museo Nacional Reina Sofía

«La Consagración I», 1991, di Belkis Ayón
Roberta Bosco |  | Madrid

La collografia è una tecnica basata su matrici ottenute sovrapponendo materiali diversi. L’artista cubana Belkis Ayón (L’Avana, 1967-99) l’ha utilizzata per generare un linguaggio caratterizzato da una grande ricchezza di sfumature e texture. Una selezione di 50 collografie, per la maggior parte inedite, è il pezzo forte della prima retrospettiva dell’artista in Europa, organizzata dal Museo Nacional Reina Sofía (fino al 18 aprile).

La rassegna, curata da Cristina Vives, riunisce un’ottantina di opere, dalle prime esperienze con il mito di Abakuá, una società segreta afrocubana, alle opere di grande formato e spiccato carattere scenografico raffiguranti una moltitudine di personaggi e un complesso universo visivo e simbolico, che sincretizza la mitologia e il rituale di Abakuá con elementi iconografici della religione cattolica.

Le incisioni in bianco e nero degli anni ’90 esprimono il dramma esistenziale di Belkis e affrontano questioni come censura, violenza, intolleranza, esclusione, disuguaglianze, meccanismi di controllo e strutture di potere. Tra il 1991 e il ’98, la Ayón raggiunge la maturità creativa con collografie di grande formato, contenuti di valore universale e personaggi epici. Le scene apocalittiche che narrano un’epopea umana in cui prevalgono il sacrificio, il tradimento, la disobbedienza e la reincarnazione dello spirito, sono le ultime produzioni di una carriera tragicamente interrotta dal suicidio dell’artista nel 1999.

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