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Altopiano del Qinghai‑Tibet: 42 scavi ridisegnano 100mila anni di presenza umana nello Xizang

Presentati a Lhasa i risultati di cinque anni di ricerche sull’altopiano tibetano: 42 campagne su 19 siti documentano una continuità che va dal Paleolitico al Regno di Tubo, con nuove evidenze su tecnologie, scambi e architetture d’alta quota

Jenny Dogliani

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L’altopiano tibetano (Qinghai‑Tibet) si estende per migliaia di chilometri tra l’Himalaya e le catene dell’Asia centrale, con vaste aree situate oltre i 4.000 metri di quota dove si susseguono pianori ventosi, vallate fluviali, laghi salati e pendii rocciosi, immersi in un’atmosfera di aria rarefatta, con forti escursioni termiche e lunghi inverni. Un’ambiente estremo e inospitale dove tuttavia l’archeologia continua a restituire tracce di una presenza umana più antica e articolata di quanto si fosse a lungo ritenuto. Il 23 dicembre 2025, a Lhasa, il principale centro urbano dell’altopiano tibetano, situato a circa 3.600 metri di altitudine, le autorità culturali della Regione Autonoma dello Xizang (Tibet) hanno presentato i risultati dei numerosi scavi archeologici sistematicamente condotti sull’altopiano negli ultimi cinque anni: 42 campagne di scavo su 19 siti e aree funerarie, che documentano una continuità di presenza umana dalla preistoria profonda alla formazione di società storiche complesse.I dati diffusi delineano un arco cronologico ampio, che parte da frequentazioni risalenti a circa 100.000 anni fa e attraversa Paleolitico, Neolitico ed età dei metalli, fino ai contesti attribuibili al periodo del regno di Tubo (VII e il IX secolo d.C.), circa 1.400 anni fa. Gli scavi hanno interessato complessivamente oltre 8.100 metri quadrati, offrendo nuovi elementi sulla formazione delle culture d’alta quota, sulle tecnologie adottate in ambienti estremi e sulle relazioni di lungo periodo tra l’altopiano tibetano e le regioni dell’Asia orientale.
 

Le prime tracce di attività umana sull’altopiano risalirebbero dunque a circa 100.000 anni fa. È il primo punto-chiave emerso nella conferenza stampa, che sposta l’orizzonte delle presenze più antiche in un ambiente estremo (per l’alta quota, le basse temperature e l’ipossia) dove si riteneva improbabile trovare tracce così remote. 
Gli scavi coprono nel dettaglio otto siti paleolitici, quattro neolitici, sei siti e tombe dell’età dei metalli e un sito attribuito al periodo del regno di Tubo: una mappa di punti che, messi in relazione, disegnano la continuità e le trasformazioni delle comunità dell’altopiano dalle prime tecnologie litiche alle società capaci di lavorare i metalli e strutturare organizzazioni complesse.
Alcuni indicatori forniti dagli studiosi hanno illustrato concretamente questa stratigrafia del tempo. Gli archeologi hanno per esempio rivelato la presenza di una tecnologia a lame (presitorica tecnica di scheggiatura) emersa nel nord dello Xizang circa 40.000 anni fa e la successiva diffusione di microliti (piccolissimi utensili in pietra) intorno a 10.000 anni fa: due tipi di ritrovamenti che testiomoniano adattamento, mobilità e trasmissione di saperi. In seguito si è poi passati alla stabilizzazione di pratiche insediative e produttive; nella ricostruzione presentata, gran parte della regione è entrata nel Neolitico circa 5.000 anni fa, mentre l’uso di rame è stato indicato attorno a 3.800 anni fa e quello del ferro circa 2.800 anni fa. Una sequenza di reperti trasformata dagli studi archeologici in una storia sociale: comunità che diventano più stabili, ampliano i repertori tecnici, articolano i rapporti tra aree interne ed esterne all’altopiano. Tra i reperti citati compaiono infatti tessuti di seta e foglie di tè, illustrati come prove dirette di scambi culturali e commerciali di lunga durata tra lo Xizang e le regioni delle Pianure centrali, indizi di circolazione di beni, gusti, tecniche e, con grande probabilità, di persone lungo corridoi di contatto che attraversano l’Asia interna. Il resoconto ha documentato poi il passaggio alla storia, fatto coincidere con l’ascesa del regno di Tubo circa 1.400 anni fa, quando la regione è entrata in una dimensione più chiaramente «statuale» e ha iniziato ad avere una presenza più netta nelle fonti.

Tra i 19 luoghi esplorati ci sono siti e tombe che riflettono le forme del potere e della ritualità (spazi funerari, insediamenti, evidenze materiali di gerarchie e contatti). Oltre a documentare il resoconto degli scavi, la conferenza ha collocato il lavoro archeologico in un’operazione più ampia di conoscenza e tutela: la Fourth National Cultural Relics Census (quarta indagine nazionale sui beni culturali nella regione) che ha registrato, all’ultimo aggiornamento del 31 maggio, il ricontrollo di oltre 4.200 siti già noti e l’individuazione di 3.346 nuovi siti, portando il totale dei luoghi censiti nello Xizang a 7.623. In questa indagine, Shigatse, Lhokha e la prefettura di Ngari hanno ciascuna superato i 500 nuovi siti individuati, un dato che evidenzia come l’attività archeologica nella regione includa anche ricognizione sistematica del territorio, monitoraggio e prevenzione della perdita del patrimonio. Tutti dati che aiutano a capire che cosa si intende quando si parla di «civiltà dell’altopiano»: non un’isola, bensì un laboratorio di adattamenti e relazioni. L’apice di questa lunga traiettoria coincide con l’affermazione del Regno di Tubo tra il VII e il IX secolo d.C., fase in cui l’altopiano tibetano conosce una strutturazione politica, militare e simbolica senza precedenti. È a questo periodo che si riferiscono alcune delle architetture più significative emerse o rilette dagli studi recenti: complessi insediativi organizzati, sistemi difensivi, tombe monumentali attribuite alle élite, edifici religiosi legati alla progressiva affermazione del buddhismo come elemento centrale dell’identità tibetana. Particolarmente significative le tombe monumentali reali della valle di Chongye, grandi tumuli rettangolari o trapezoidali costruiti in terra e pietrame, associate all’élite politica del periodo. Sul piano religioso, gli scavi e le riletture archeologiche confermano la diffusione di templi e complessi monastici caratterizzati da piante semplici, volumi compatti, strutture lignee portanti e coperture piatte, spesso decorate con pitture murali e apparati simbolici legati al buddhismo e a tradizioni locali. I materiali rinvenuti — ceramiche, elementi metallici, tessuti, resti lignei — riflettono uno stile funzionale, adattato alla quota, ma aperto a influenze esterne, con soluzioni costruttive e decorative che testimoniano contatti con l’Asia centrale e la Cina dei Tang. Nel loro insieme, queste architetture e materiali delineano una civiltà capace di tradurre potere politico, ritualità e controllo del territorio in forme materiali riconoscibili e durature, inserite al tempo stesso in reti diplomatiche e commerciali che collegavano l’altopiano all’Asia centrale e all’impero Tang. 

Jenny Dogliani, 31 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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Altopiano del Qinghai‑Tibet: 42 scavi ridisegnano 100mila anni di presenza umana nello Xizang | Jenny Dogliani

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