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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliPer raccontare la Absolut Art Collection bisogna partire dalla storia del marchio che l’ha generata. Absolut Vodka, fondata a Stoccolma nel 1917, non è nata come brand globale, ma come un progetto audace di un’azienda statale svedese, concepito in un Paese storicamente segnato da un rapporto complesso e ambivalente con l’alcol. Da questa tensione – tra controllo pubblico e immaginazione internazionale, disciplina e libertà creativa – ha preso forma una delle operazioni di branding più riconoscibili del XX secolo. La Absolut Art Collection è una delle più vaste e coerenti collezioni corporate del tardo Novecento. Custodita dallo Stato svedese nello Spritmuseum di Stoccolma, è al centro della mostra «Highlights from the Absolut Art Collection», visibile fino al 19 aprile 2026. Il percorso immersivo non si limita a esporre alcuni dei nomi più riconoscibili della collezione – Andy Warhol, Keith Haring, Louise Bourgeois, David Shrigley, Béatrice Cussol – ma restituisce, attraverso una selezione mirata, la logica interna di un progetto che ha privilegiato la costruzione di profondità e continuità di un marchio, affidandosi alla durata e alla stratificazione dell’arte piuttosto che all’immediatezza delle campagne pubblicitarie. La Absolut Art Collection prende forma tra il 1986 e il 2004 e conta oltre 850 opere realizzate da circa 550 artisti con media diversi (pittura, incisione, fotografia, scultura) con un’unica condizione sine qua non: ogni opera deve includere l’iconica bottiglia Absolut Vodka. La bottiglia diventa così un segno, un corpo, un oggetto, un pretesto narrativo, una superficie simbolica su cui proiettare desideri, ironia, critica, erotismo e commento politico.
La prima opera realizzata per Absolut Vodka è Absolut Warhol (1986). Secondo la versione che circolava all’epoca, sarebbe stato lo stesso Andy Warhol a suggerire l’idea durante una cena, manifestando interesse per la bottiglia. L’interlocutore, l’importatore americano del marchio, avrebbe colto immediatamente la possibilità di coniugare l’identità di Absolut con l’arte contemporanea; Warhol indicò poi altri artisti con cui collaborare, tra cui Keith Haring e Kenny Scharf. Nelle opere di Keith Haring presenti in mostra, la bottiglia entra nel suo alfabeto visivo fatto di figure stilizzate, energia urbana e ritmo grafico, diventando parte di un immaginario legato alla street culture newyorkese degli anni Ottanta. Con Louise Bourgeois il registro cambia radicalmente: la bottiglia assume una dimensione più intima e ambigua, caricandosi di tensioni emotive e allusive, coerenti con la sua riflessione su corpo, memoria e vulnerabilità. David Shrigley ne fa un oggetto ironico e destabilizzante, utilizzato per scardinare le aspettative della comunicazione pubblicitaria. La forza della Absolut Art Collection risiede nella sua eterogeneità dichiarata. Artisti di fama internazionale convivono con nomi locali meno noti; linguaggi alti e registri pop si sovrappongono senza gerarchie. Al suo interno emergono nuclei che raccontano luoghi e momenti storici precisi: la scena dei writer newyorkesi degli anni Ottanta, artisti russi che reagiscono alla censura durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, una significativa presenza di artisti afroamericani, fino agli Young British Artists degli anni Novanta. Tre decenni in cui Absolut Vodka si è trasformata in committente, costruendo un archivio dell’evoluzione dei linguaggi dell’arte contemporanea internazionale.
Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, Absolut avvia in Europa un approccio più strutturato e di lungo periodo. È in questa fase che entrano in collezione alcune delle opere più note, firmate da Damien Hirst, Tom Ford e Louise Bourgeois, accanto a figure centrali della scena svedese come Ola Billgren, Dan Wolgers e Linn Fernström. Il progetto assume così una dimensione sempre più orientata alla sedimentazione culturale. La mostra che lo Spritmuseum di Stoccolma dedica alla storia di Absolut Vodka – in dialogo con Highlights from the Absolut Art Collection – ripercorre questo passaggio: da prodotto locale a icona globale, da semplice distillato a fenomeno culturale costruito attraverso visione, rischio e innovazione comunicativa. L’esposizione non si limita a raccontare una strategia di marketing di successo, ma mette in luce come il pensiero creativo, applicato con coerenza e continuità, possa trasformare un oggetto quotidiano in un segno universale. Il percorso intreccia pubblicità iconiche, installazioni spettacolari di bottiglie, collaborazioni artistiche, incursioni nel cinema e nella moda, restituendo la densità di un immaginario che ha attraversato generazioni e linguaggi. Absolut emerge come un caso emblematico di branding costruito per accumulo e riconoscibilità puntando su una coerenza visiva mantenuta nel tempo, senza cadere nelle tentazione di mode e ricambi frenetici.
Questo racconto si amplia ulteriormente con «Spirits of a Nation», la mostra permanente che lo Spritmuseum inaugurerà nella primavera del 2026. Un percorso immersivo che affianca alla dimensione del marchio una riflessione più ampia sulla cultura del bere come fatto sociale, storico e identitario, dal XV secolo a oggi. Attraverso film, paesaggi sonori, profumi e ambienti sensoriali, il percorso esplorerà rituali, abitudini, norme e pregiudizi, valori collettivi e comportamenti sociali. Il pubblico sarà invitato a mettere alla prova i propri sensi, distinguendo tra distillati affinati in botte, scoprendo i processi produttivi degli alcolici svedesi e le regole che ne governano la distribuzione. Il percorso si concluderà nel bar del museo con una degustazione che include grappe e punsch, tradizionale liquore a base di arrack, zucchero e spezie, riportando il discorso alla materialità della tradizione. In questo contesto, Absolut emerge come un prodotto che nasce e si sviluppa dentro un sistema di valori complesso, fatto di restrizioni, consapevolezza e responsabilità pubblica. E la Absolut Art Collection, così riletta, non è solo come un capitolo esemplare di arte e impresa, ma una parte di un ecosistema culturale più ampio, in cui branding, politica pubblica, creatività e memoria collettiva si uniscono per interrogare il presente e il rapporto tra arte e capitalismo.
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