Image

Vendesi capolavori per armare due reggimenti

La storia dell’arte fuggita, rubata e svenduta dall’Italia nei secoli

Arabella Cifani

Leggi i suoi articoli

Trent’anni che covava questo libro: un libro che non c’era. Fabio Isman ce lo ha personalmente e simpaticamente raccontato: la storia dell’arte fuggita, predata, svenduta in Italia nel corso dei secoli era piantata nel suo cuore e voleva narrarla; il ritrovamento di una cartellina con gli appunti sul tema gli ha ridato la voglia di finire la ricerca che, comunque, non può dirsi conclusa, perché c’è ancora molto da dire.
 
Noi italiani, dice Isman, siamo sempre pronti a vantarci delle infinite cose di arte che abbiamo, ma non ci ricordiamo delle tantissime partite dall’Italia. Non c’è infatti museo del mondo che non abbia una rilevante sezione di arte italiana ed è legittimo domandarsi come mai tante opere abbiano preso la via dell’estero. I motivi sono un intreccio tra fatti storici, rovine economiche, ma anche squallide questioni private di soldi. 


A causa dell’arrivo dei francesi papa Pio VI chiede, ad esempio, alla famiglia Colonna di armare un reggimento di cavalleria e uno di fanteria e di fornirgli 12 cannoni e allora i Colonna, al fine di avere denato liquido, alienano molte opere. Altri collezionisti si giocano a carte i quadri, altri li fanno uscire dall’Italia con l’inganno: è il caso di alcuni Van Dyck genovesi arrotolati in un finto tubo di scappamento di una macchina. 


La collezione romana del marchese Giampietro Campana, considerata a fine Ottocento come la più importante d’Europa, va dispersa in seguito a un fallimento: i pezzi archeologici finiscono al Louvre e all’Ermitage, molti dipinti al Musée Calvet di Avignone e la meravigliosa «Battaglia di San Romano» di Paolo Uccello al Louvre.


Opere d’arte insostituibili, metamorfizzate, come prevedeva il principe di Salina del Gattopardo durante la sua agonia, in cibi presto digeriti o in donne «più labili del loro belletto», da quelle delicate e sfumate cose che erano state.


Un mondo di antiquari fedifraghi, sordidi e indegni eredi di grandi fortune e di grandi casate, ma anche furti e truffe: nell’accorato e disincantato libro di Isman vi è tutto l’amaro racconto di questa parte oscura della storia dell’arte: un volume che si legge in un fiato e che lascia la bocca amara.


L’Italia dell’arte venduta
di Fabio Isman
273 pp., 31 ill. col.
il Mulino, Bologna 2017
€ 16,00 

La «Pala Colonna» di Raffaello Sanzio da UrbinoLa pala, capolavoro giovanile di Raffaello, fu dipinta per le suore francescane di Perugia tra il 1502 e il 1504: le stesse la rivendono a pezzi nel 1663 a vari membri dell’aristocrazia europea. Il principe Lorenzo Onofrio Colonna nel 1678 compra la parte centrale. Gli eredi Colonna la vendono nel 1802 a Ferdinando I di Borbone e nel 1896 i nipoti del re la pongono in vendita a Londra; qui Pierpont Morgan l’acquista per due milioni di franchi, la porta a New York e nel 1916 la regala al Metropolitan Museum. La sciagurata vendita delle suore perugine fa esplodere il polittico, che è oggi sparso in vari musei: la «Pietà» della predella è a Boston, «L’andata al Calvario» alla National Gallery di Londra.

San Pietro penitente» di Jusepe de RiberaQuesto è un caso ancora più grave e, come afferma Isman, «disonorevole» per il nostro Paese. Nel 2011 un quadro raffigurante «San Pietro penitente» viene esportato con le benedizioni del Ministero dei Beni culturali all’estero. Partito da Perugia, ne viene richiesto il permesso di uscita a Venezia, durante il periodo natalizio. I funzionari di Venezia con la testa al panettone lo riconoscono e certificano come opera di un «anonimo bolognese del Seicento». Il quadro approda da un antiquario di Madrid, dove il direttore del Metropolitan di New York lo compra per il suo museo per circa un milione di dollari. Lo storico dell’arte Antonio Vannugli aveva affermato con sicurezza che era di Ribera e lo aveva anche pubblicato sul «Burlington Magazine», ma a Venezia, evidentemente, alla Soprintendenza non leggono, o comunque non sanno l’inglese.

«La Famiglia di Dario ai piedi di Alessandro» di Paolo VeroneseDi tutta la miriade di opere che vede a Venezia nel 1786, Goethe menziona solo quest’opera del Palazzo Pisani Moretta. Era da sempre il quadro più ammirato della città, ma l’ultimo dei Pisani, Vettor Zusto, per evitare una lite fra le tre figlie femmine maritate, decide che è meglio che queste si spartiscano dei soldi. Nel 1857 il quadro prende la via di Londra e viene venduto alla National Gallery per l’equivalente attuale di circa un milione e mezzo di euro: un po’ poco per tanto splendore. Nel contratto è compresa anche la clausola di un 12% della cifra da distribuire fra i domestici di Casa Pisani che con la vendita non avranno più le mance dei visitatori.  

Il «Nudo sdraiato» di ModiglianiNel novembre 2015 il quadro di Amedeo Modigliani «Nu couché» è stato battuto all’asta da Christie’s, a New York, per la cifra record di 170,4 milioni di dollari (158,4 milioni di euro). È stato acquistato da un ex tassista cinese, evidentemente desideroso di nobilitarsi sul piano culturale. Il dipinto esce dalla collezione di Gianni Mattioli, milanese, che fino agli anni Settanta del secolo scorso consentiva la visita alla sua sterminata e privata galleria di arte moderna. Lo Stato ha vincolato solo 26 opere di quella raccolta, oggi in prestito alla collezione Guggheneim di Venezia, ovviamente il «Nudo disteso» non era compreso. 

Arabella Cifani, 07 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

Nel Palazzo D’Arco di Mantova una mostra celebra Annibale Chieppio, onnipotente segretario ducale e consigliere di Stato dei Gonzaga, e le sue collezioni d’arte

I ritratti del mancato cardinale dipinti da Jacopo e Domenico Tintoretto sono esposti nel Museo di Palazzo Grimani a Venezia

Un volume che racconta la storia e descrive alcune delle principali opere esposte nel museo romano

Un designer d’immenso successo alla corte Farnese fra secondo Cinquecento e primo Seicento, poi completamente dimenticato benché fosse «degnissimo d’immortale corona di gloria»

Vendesi capolavori per armare due reggimenti | Arabella Cifani

Vendesi capolavori per armare due reggimenti | Arabella Cifani