Van Gogh sul ghiaccio

Dire che il pittore olandese va su tutto è poco: va anche, e soprattutto, nelle situazioni in cui la pittura non c’entra per niente, dove la marionetta mondana del suo personaggio si è impossessata della scena

Van Gogh on ice
Flaminio Gualdoni |

Il genio di Van Gogh fingono tutti di averlo capito, e questo è un fatto. Ma la sua capacità di sopravvivere alle nefandezze in cui il suo nome è coinvolto, e senza mai subirne sputtanamenti, è un caso di studio da grande università. Dire che Van Gogh va su tutto è poco: va anche, e forse soprattutto, nelle situazioni in cui la pittura non c’entra per niente, dove la marionetta mondana del suo personaggio si è impossessata della scena.

C’è un caso recente che mi affascina non poco. A Torino si sono inventati addirittura «Van Gogh on ice», un «evento» in cui gente sui pattini, di solito invero brava (gli spettacoli «on ice» sono di solito la pensione di quelli che sui pattini vincevano gare), fa una serie di peripezie con tanto di accompagnamento di «son et lumière» e orchestra dal vivo: annunciano anche il «suono inconfondibile di uno Stradivari originale», cosa che tutti gli spettatori di questa roba apprezzano sopra ogni altra cosa e vanno apposta in un palazzetto del ghiaccio per sentirlo (!). Roba, insomma, da farsi delle matte risate, comparabile solo con quella volta che tentarono una grande «mostra immersiva» su Giotto e la misero in scena a Venezia, ovvero nella città dove Giotto in assoluto meno c’entrava.

Sarà, facile previsione, il solito gioco di rivangare dello stantio poeticume d’accatto, la poesia da cioccolatini, per intenderci, intorno alla triste e solitaria vita del nostro, così come le già numerose «esperienze immersive» con immagini ce l’hanno emulsionata e servita calda (qui calda no, per vero): ma, vuoi mettere la soddisfazione, l’inedito è che ci sarà gente che zompa sui pattini, roba che non s’è mai vista, e chissà perché. Mi chiedo, tra l’altro, se ci sarà pure un romantico «pas de deux» tra il pattinatore che fa Van Gogh e si è mozzato l’orecchio e la pattinatrice che fa Gabrielle Berlatier, che lo riceve nel bordello di Arles.

Van Gogh è straordinario perché manda in giro la sua marionetta a far queste vaccate mentre lui se ne sta, sdegnoso e un po’ incazzato come sempre, nel suo empireo. Tutte le iniziative in suo nome non lo toccano minimamente, non ne scalfiscono neanche un po’ il genio tragico. Hanno scritto gran libri per sostenere la sua pazzia, figurati se adesso si deve preoccupare se lo mettono sui pattini a fare arabeschi.

La domanda da porci in questi casi è semmai un’altra: com’è fatta, che cosa pensa, una persona che esce di casa in una sera fredda e va a chiudersi in un palazzetto del ghiaccio per vedere una specie di musical sulla vita di un pittore sfigato, per quanto altrimenti grande. Vabbè, la ghiottoneria del «suono inconfondibile di uno Stradivari originale» ha il suo bel perché. Ma quando poi la persona giunge alla fine dello spettacolo, considera di aver davvero fatto un’esperienza culturale o è consapevole di aver solo preso del gran freddo?

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