Una storia di quadri perduti e ritrovati

Sulle tracce di Poussin, Pietro da Cortona e Giovanni Francesco Romanelli

Nicolas Poussin, «Il riposo nella Fuga in Egitto», Budapest, Szépmüvészeti Múzeum
Arabella Cifani |  | Torino

Federico Zeri ce lo diceva: «a Torino ci devono essere molti quadri di Poussin perduti, cercateli!».  Molti? Quanti? Mica facile. La città era effettivamente sempre stata da secoli un posto abitato da grandi collezionisti, ma che, a differenza di tutti gli altri d’Italia, non ti aprivano (e non ti aprono) casa neanche a morire. I quadri sono nostri e ce li guardiamo solo noi: questo era ed è il concetto.

Franco Monetti e io ci mettemmo a cercare; in realtà sapevamo dove mettere le mani (e anche Zeri sapeva che sapevamo). C’erano anche altri che bramavano i quadri del grande Nicolas Poussin, somma gloria dell’arte francese del Seicento. Due grossi mercanti d’arte avevano sguinzagliato i loro cani d’assalto sotto forma di giovanotti affamati di preda e di soldi, e vari studiosi europei. La caccia era aperta dunque, ma non bisognava disperdersi su piste false. Quasi segno del destino, da Londra ci giunse in quei giorni da parte del grande storico dell’arte e indimenticato amico Sir Denis Mahon un bellissimo disegno attribuito a Pietro da Cortona, che rappresentava una scena biblica: «Gli ebrei che portano doni per la costruzione del tabernacolo».

Sir Denis riteneva giustamente che il disegno potesse essere collegato in qualche modo a una serie di Storie della vita di Mosè segnalate da tutti i visitatori seicenteschi di Torino come esistenti nelle collezioni dei Principi Dal Pozzo della Cisterna. Conoscevamo bene le fonti e avevamo in mano documenti d’archivio inediti e di prima mano dei Dal Pozzo della Cisterna che descrivevano minuziosamente proprio quattro quadri raffiguranti «Il passaggio del Mar Rosso» e «L'Adorazione del vitello d'oro» di Nicolas Poussin, una «Raccolta della manna» e «Gli ebrei che portano doni per la costruzione del tabernacolo» di Pietro da Cortona. Si sapeva che i due Poussin erano finiti rispettivamente alla National Gallery di Londra e alla National Gallery of Victoria di Melbourne. Ma gli altri due dove erano?

A volte le cose stanno sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. Con un permesso speciale ci infilammo una mattina d’inverno nel monumentale Palazzo dal Pozzo della Cisterna di Torino, divenuto in seguito sede della Provincia. Decisi a setacciarlo tutto, dalle cantine alle soffitte. Nella visita entrammo nell’ufficio del Direttore Generale. Rimanemmo senza fiato. Il gentile funzionario lavorava fra pile di scartoffie, proprio sotto due dei più bei quadri del Seicento italiano. I grandi dipinti (148x205 cm) erano sporchissimi, ingialliti, ma la loro bellezza emanava comunque una luce abbagliante. Sulle pesanti cornici nere portavano, sa Dio perché, la scritta «Scuola del Pecheux». La targhetta probabilmente li aveva salvaguardati. Qui in tempo di guerra c’erano stati gli alti comandi tedeschi: se avessero capito se li sarebbero portati via. Di recente li avevano anche visti alcuni presunti illustri storici dell’arte che li avevano definiti «due croste». Uno dei due quadri corrispondeva perfettamente al disegno che ci aveva inviato Sir Denis.

Quella mattina di visita rimanemmo zitti come due mummie, cercando di nascondere la nostra emozione e uscimmo felpatamente dalla stanza. Fuori ci scatenammo in una esultanza quasi tribale: si trattava di una delle più importanti scoperte della storia dell’arte di fine Novecento. Con questi due quadri si ricomponeva infatti il mitico e perduto ciclo mosaico di cui tutti favoleggiavano e che Amedeo Dal Pozzo (1579-1644), grandissimo collezionista e importante personalità della storia sabauda del primo Seicento, aveva ordinato in parte a Nicolas Poussin e in parte a Pietro da Cortona, che si era fatto aiutare dal suo migliore allievo, Giovanni Francesco Romanelli, per il quadro della «Costruzione del Tabernacolo». I pagamenti li trovammo, poi, tutti a Firenze, nell’Archivio di Stato, fra le carte dei banchieri Galli Tassi.

Erano quadri splendidi, degni di una collezione reale, di una superba e impattante bellezza, ricchi di simbologie e di figure dall’effetto imponente e maestoso. Tutti i visitatori del Seicento li avevano lodati e molti li avevano desiderati. Due infatti avevano preso il volo: i Poussin. Ma come erano andati via da Torino? Scoprimmo anche i dettagli di questa storia e le ricerche documentarie furono, come sempre, dirimenti. Venduti alla chetichella dal Principe Giacomo Maurizio Dal Pozzo, che conduceva un tenore di vita altissimo, verso il 1675, a un pittore «del re di Francia», il quale aveva sborsato la folle cifra di 3mila ducatoni.

I Dal Pozzo possedevano altri due dipinti di Poussin, più piccoli, ma non meno importanti. Due ovali: il «Ritrovamento di Mosè nel Nilo» e il «Riposo nella fuga in Egitto»; documentati a Palazzo dal Pozzo a Torino fino al 1877. Il primo è attualmente irreperibile. Diversa la travagliata storia del «Riposo nella fuga in Egitto», oggi nella Pinacoteca di Budapest. Venduto a fine Ottocento dai duchi d’Aosta, eredi dei Dal Pozzo, nel 1919 era già a Budapest, esposto nella Casa degli artisti alla prima mostra di opere d'arte nazionalizzate e attribuito a Sébastien Bourdon. Dal 1957 è al Museo ungherese. Su questo incantevole dipinto gli storici dell’arte si sono azzuffati e non poco. Anthony Blunt, uno dei massimi studiosi del pittore francese Poussin, lo ha attribuito al «Master of the Clumsy Children» (il maestro dei bambini sgraziati, un pittore minore)! E ancora a Charles Mellin, a tale Filippo francese seguace di Poussin, e avanti con fantasia. I nostri documenti dicevano chiaramente invece che era di Poussin; in realtà basta guardarlo, per capire che è di Poussin.

Opere di bellezza straordinaria, i quadri di Poussin, Pietro da Cortona e Romanelli, dopo i nostri studi e la loro pubblicazione a Londra hanno cominciato un nuovo e fortunato percorso: il piccolo ovale di Poussin è stato al centro di una mostra del 1994 al Louvre, a corollario della grande mostra su Poussin del Petit Palais. In quell’occasione presentammo anche al pubblico la scoperta dei dipinti mosaici e fu divertente parlare nel teatro del Louvre dopo il direttore della Pinacoteca Nazionale di Stoccolma che aveva appena annunciato di aver scoperto una traccia (sbagliata) per questi dipinti che conduceva direttamente in Svezia. A fine conferenza durante il cocktail, Pierre Rosenberg, al tempo Direttore del Louvre, commentò con la sua raffinata ironia che non si poteva mai fare una scoperta senza che un italiano venisse a confutarla e a rompere le uova nel paniere. Nel 1997 i due quadri di Cortona e Romanelli furono protagonisti di una indimenticabile mostra a Palazzo Venezia a Roma e da allora sono stati pubblicati, esposti e discussi. Sarebbe meraviglioso rivedere un giorno tutto il ciclo riunito.

© Riproduzione riservata Pietro da Cortona, «La raccolta della manna», Torino, Palazzo della Provincia (ex Dal Pozzo della Cisterna) Nicolas Poussin, «L'adorazione del Vitello d’oro», Londra, National Gallery Giovanni Francesco Romanelli, «La costruzione del tabernacolo», Torino, Palazzo della Provincia (ex Dal Pozzo della Cisterna) Nicolas Poussin, «Il passaggio del Mar Rosso», Melbourne, National Gallery of Victoria
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