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Una bomba nel viavai delle Soprintendenze

Il 27 maggio e il 2 agosto, sulla scia della prima infornata dei venti musei statali autonomi, è partita la selezione pubblica internazionale per i direttori delle ulteriori dieci realtà rese autonome

Federico Castelli Gattinara

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A questo punto sfugge completamente la logica, sembra che una riorganizzazione tiri l’altra, come una nevrosi ossessiva. La rivoluzione del sistema di tutela e gestione dei beni culturali voluta da Dario Franceschini (confermato ministro dal neopresidente del Consiglio Paolo Gentiloni, come nelle attese) troverà mai il tempo per strutturarsi e radicarsi nel Paese? Tutte le Soprintendenze di Roma e Lazio sono state ridisegnate lo scorso luglio, a livello territoriale e di competenze. Un rivolgimento che ha visto nascere in tutta Italia le Soprintendenze miste che, nelle rispettive aree di competenza, controllano ogni cosa: archeologia, belle arti, paesaggio. Addio quindi alla Soprintendenza archeologica di Roma che governava tutta l’archeologia di città e suburbio (accanto alla Sovrintendenza capitolina per le parti sotto la giurisdizione del Comune di Roma), alla quale dal 2001 era stata attribuita, per volere dell’allora ministro Walter Veltroni, autonomia amministrativa, scientifica e organizzativa. 

Oggi Roma antica è sbriciolata in tanti pezzi: l’Appia antica e Ostia antica sono diventati due parchi archeologici autonomi, il Museo Nazionale Romano e il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia anch’essi autonomi, alla Soprintendenza statale restano Colosseo e area archeologica centrale, l’archeologia (ma anche belle arti e paesaggio) all’interno delle Mura aureliane e dodici importanti siti all’esterno (Villa di Livia a Prima Porta, Gabi ecc). L’archeologia fuori dalle Mura aureliane oggi riguarda la Soprintendenza mista per il Comune di Roma, l’archeologia nelle provincie di Roma, Viterbo e l’Etruria meridionale è accorpata nella Soprintendenza mista per l’area metropolitana. 

Il 27 maggio e il 2 agosto, sulla scia della prima infornata dei venti musei statali autonomi, è partita la selezione pubblica internazionale per i direttori delle ulteriori dieci realtà rese autonome, quasi tutte archeologiche e la metà romane, tra cui i già citati due parchi archeologici e due musei, a cui si aggiunge il Museo della Civiltà. I direttori sono ancora al vaglio della commissione istituita dal Mibact, la scadenza fissata per il 31 dicembre scorso è stata prorogata al 28 febbraio. In mezzo a questo traffico di competenze e territori arriva come una bomba l’«emendamento Bonaccorsi», dopo ben 5 tentativi andati a vuoto (due volte nel testo base della Legge finanziaria, poi stralciato; tre volte come emendamento, dichiarato inammissibile), introdotto il 22 novembre nella Legge di stabilità approvata in blocco al Senato, senza modifiche, per via della crisi di Governo. Riapre ancora una volta i termini della riorganizzazione, in questo caso per le Soprintendenze speciali di Colosseo e Pompei, «ai fini della razionalizzazione della spesa del Mibact e dell’efficientamento delle modalità di bigliettazione degli istituti e luoghi della cultura di rilevante interesse nazionale» e per adeguarle «agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura».

La risposta della Soprintendenza guidata da Francesco Prosperetti è stata immediata e precisa: gli standard museali internazionali (Icom) sono già stati acquisiti, per legge, a dicembre 2014, mentre sulle biglietterie è in corso da tempo la preparazione del bando di gara, seguito dallo stesso Ministero. L’emendamento apre le porte a un direttore scelto mediante procedura internazionale, stralciando di fatto il Colosseo (con il Foro romano, il Palatino e altri pezzi pregiati) dalla Soprintendenza vera e propria, che da pochi mesi aveva accorpato le competenze di belle arti e paesaggio. «A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca», ripeteva il divo Giulio. Il fatto è che il piatto è molto ricco, circa 60 milioni di euro di introiti che invece di restare a Roma e alle sue tante criticità com’è oggi (a parte il 20% di solidarietà verso i luoghi di cultura più bisognosi, circa 12 milioni), prenderebbero quasi per intero la via del Ministero. 

«È la nona “riforma” in dieci anni, le ultime tre in due anni: come si fa a fare una seria programmazione?», si chiedono in Soprintendenza. Non solo. Se i soldi tornano in capo al Collegio Romano e se consideriamo che la Soprintendenza Belle arti e Paesaggio, non ancora accorpata a quella «speciale» per il Colosseo, non aveva programmato interventi per il 2016 a causa della totale mancanza di fondi, le prospettive per Roma sono davvero pessime. L’emendamento poi va in senso diametralmente opposto alla stessa riforma, che finalmente riaccorpava in un unico organismo di tutela e valorizzazione la città antica e moderna all’interno delle Mura aureliane, la stessa protetta come un corpus unico dall’Unesco.
 

Federico Castelli Gattinara, 07 gennaio 2017 | © Riproduzione riservata

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