Tre mostre inaugurano la nuova direzione del Pecci

Fantastico e ibridazione tra uomo e animale, fluidità di genere, pensiero ecologico e architettura radicale sono alcuni dei temi sviluppati nei percorsi espositivi a Prato

I palloncini di Parreno e il video di Gander allestiti in una sala di «Il giardino dell’arte»
Laura Lombardi |  | Prato

«Il giardino dell’arte. Opere, collezioni», prima mostra del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci curata dal neodirettore Stefano Collicelli Cagol, (fino al 24 luglio), unisce il concetto di giardino a quello di museo, luoghi di cura, di ristoro, ma anche di meraviglia condivisa, a ribadire il ruolo essenziale dell’arte nella comunità. Mescolando opere della collezione permanente con altre di collezioni private il percorso si snoda nelle sale dove opere di artisti storici (Burri, Boetti ecc.) sono accostate, in modo raffinato e con sottili rimandi, a quelle di contemporanei.

Ad aprire e chiudere il percorso è il tema oggi molto sentito del fantastico, dell’ibridazione tra uomo e animale e di un mondo interspecista (da Savinio e Marisa Merz fino a Shafei Xia), ma anche dell’archivio in prospettiva decoloniale (Délio Jasse), dei contesti architettonici (Monica Bonvicini, Pedro Cabrita Reis), del volto e della fluidità di genere (Roni Horn), della dimensione umana nelle comunità trans e dell’erotismo (Nan Goldin, Carol Rama), del discorso pubblico (il video di Ryan Gander e l’invasione dei palloncini di Philippe Parreno), degli indumenti (la teca di Peter Etienne Lincoln dove il guanto racconta di tradimenti commessi o subiti, ma anche i bikini di Marlene Dumas e le vesti di David Hammons), il potere della musica nei grandi schermi di Ragnar Kjartansson. E altro ancora.

Fino al 25 settembre sono allestite due mostre ideate da Stefano Pezzato, responsabile di collezioni e archivi del Centro Pecci. La prima è «Gruppo 9999. Ricordi di tecno-ecologia», realizzata dal Centro in stretta collaborazione con l’Archivio 9999 e Fiumi Studios, concepita e sviluppata da Elettra Fiumi, Margherita Marri e Luigi Savio, col progetto di allestimento di (ab)Normal e CAPTCHA. Attraverso tre sezioni, o per meglio dire tre «radure», siamo calati in una foresta cibernetica alla scoperta dei progetti del gruppo radicale fiorentino 9999 (a cavallo tra il ’68 europeo e il movimento di controcultura americano) con immaginifici collage che svolgono un pensiero ecologico nel quale la dicotomia «natura-cultura» aspira a risolversi in un nuovo equilibrio tra uomo, tecnologia e mondo biologico.

L’altra mostra, «Schema 50. Una galleria tra le neoavanguardie (1972-1994)» in stretta collaborazione con Raúl Ernesto Domínguez, cofondatore di Schema e direttore della Fondazione Alberto Moretti / Galleria Schema di Carmignano (Prato) con ricerche d’archivio di Desdemona Ventroni, ricorda il 50mo anniversario della Galleria Schema, nel centenario di nascita del suo fondatore, l’artista Alberto Moretti. La rassegna è in linea con altre mostre del Centro dedicate alle raccolte museali di architettura radicale, di cui Schema è stata fra i promotori in Italia, alla presenza dell’Archivio di Mario Mariotti, che lavorò con la galleria, e alla recente acquisizione dell’Archivio di Lara-Vinca Masini, amica di Moretti, critica militante e attenta all’attività di Schema, che fu spazio per mostre ed eventi incentrati sull’arte concettuale e postconcerttuale, l’architettura radicale, l’arte antropologica e politica, la performance e l’happening (ebbe luogo da Schema, nel 1973, l’ultima azione pubblica di Vito Acconci, «Ballroom»).

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