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Laura Lombardi
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L’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro (Opd) compie cinquant’anni: una ricorrenza che coincide con la conclusione, entro fine anno, dell’intervento su un importante ciclo di affreschi nella fiorentina Basilica di Santa Croce: la Cappella Bardi di Giotto. È con la legge istitutiva del 1 marzo 1975 del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, che l’antico Opificio delle Pietre dure, fondato da Ferdinando I de’ Medici (Granduca di Toscana dal 1587) come Manifattura di corte specializzata nella lavorazione delle pietre dure per la creazione di oggetti artistici destinati ad arredare le dimore granducali o a essere offerti in dono, si fonde in un’unica entità con il Gabinetto Restauri della Soprintendenza, fondato nel 1932 da Giuseppe Poggi e Ugo Procacci, dando così origine alla moderna istituzione.
Il Gabinetto, tra i primi a utilizzare indagini scientifiche come atto preliminare del restauro, era stato spostato a seguito dell’alluvione del 1966 in edifici all’interno della Fortezza da Basso, dove tuttora si trovano alcuni laboratori di restauro, mentre gli uffici e la sede del Museo sono situati in via degli Alfani, accanto ad alcuni laboratori storici, come quelli che si occupano del commesso, dei bronzi o dei materiali lapidei a pochi passi dalla Galleria dell’Accademia. Il Laboratorio arazzi, poi, domina la città dalla Torre di Arnolfo a Palazzo Vecchio. Soprintendente dell’Opificio è Emanuela Daffra, che già nel 2018 aveva diretto alcuni settori. La sua nomina risale al maggio 2024, ma Daffra aveva ricoperto quell’incarico ad interim dal 1 settembre 2022, a seguito del pensionamento di Marco Ciatti, pur mantenendo la Direzione Regionale Musei della Lombardia, assunta nel 2019 dopo esser stata funzionaria della Soprintendenza della Lombardia occidentale dal 1990, vicedirettrice della Pinacoteca di Brera dal 2009 al 2015 e direttrice dell’Accademia Carrara di Bergamo.
Emanuela Daffra, l’Opificio è un’istituzione di grandissimo prestigio, che tuttavia negli ultimi anni ha incontrato alcune difficoltà. Quale è la situazione oggi?
Grazie al lavoro di coloro che mi hanno preceduto la situazione è molto migliorata. Mancano però ancora spazi e persone. Siamo sotto organico (ma è un dato che riguarda tutti gli istituti del MiC), soprattutto per quanto riguarda chi agisce dietro le quinte: personale amministrativo, architetti, tutti coloro che devono garantire sicurezza a chi opera in sedi complicate, con strumenti e impianti delicati. Abbiamo però urgente bisogno anche di personale scientifico specializzato: fisici, chimici, biologi, storici dell’arte… I restauratori stessi sono presenti in numero diseguale.
Che cosa significa e come è articolato l’Opificio?
Si compone di undici settori diversi definiti dai materiali e dalle tecniche artistiche. A causa dei percorsi di formazione, fondati sulla specializzazione, e di un sistema di reclutamento che invece è generico può accadere di avere branche ben dotate e altre con un unico restauratore. Penso ad esempio al restauro delle carpenterie, che pure è uno degli ambiti in cui l’istituto ha fatto e fa scuola. Questo impedisce una programmazione armoniosa, aderente alla ricchezza anche tipologica del nostro patrimonio, ma soprattutto la possibilità di tramandare competenze preziosissime, che si acquisiscono anche «facendo insieme». Le recenti assunzioni però fanno ben sperare in prossime integrazioni.

Un particolare dell’affresco di Giotto nella Cappella Bardi
È noto come la Scuola dell’Opd sia molto dura nella selezione degli aspiranti restauratori. Che cosa la caratterizza?
Come anche per le altre Scuole di alta formazione, l’ingresso è a numero chiuso e prevede una prova selettiva. Per ogni corso messo a bando vengono ammessi cinque allievi. Un numero tanto ristretto nasce dalla prevalenza delle ore di laboratorio e dalla normativa, che impone non più di cinque studenti per docente. Così si segue molto da vicino la formazione di ragazzi che poi, con nostra soddisfazione, trovano lavoro molto rapidamente. Uno dei prossimi obiettivi è quello di attivare più di un percorso formativo all’anno. Ma come può capire, entrano ancora una volta in campo le carenze prima citate: spazi e persone. In compenso grazie a Fondazione Opificio, fondazione strumentale di Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, quest’anno abbiamo varato il primo ciclo di corsi brevi per un aggiornamento costante dei professionisti. Si tratta di corsi aperti su iscrizione, che approfondiscono temi che vanno dalla interpretazione della diagnostica per immagini ai workshop sul mist-lining, una tecnica per restituire solidità al supporto dei dipinti su tela; da corsi su come trattare le opere d’arte in situazioni di emergenza, come metterle in sicurezza a approfondimenti giuridici legati all’attività sul contemporaneo...
L’Opificio ha una scuola ma anche un museo che dal 1995 si presenta con un raffinato allestimento di Adolfo Natalini. Eppure, la maggior parte dei turisti che vanno a vedere il «David» di Michelangelo nella contigua Galleria dell’Accademia, sostano in coda davanti al Museo dell’Opificio senza conoscerlo.
È vero, è un piccolo gioiello nascosto. Vi sono conservati pezzi di commesso in pietre dure, glittica, pittura su pietra di straordinaria qualità. Ed è un museo in crescita: da pochissimo il Ministero ha acquistato da un collezionista privato due placchette in pietra tenera, che presenteremo nei mesi prossimi. Anche per questo è in progetto una revisione dell’allestimento e dell’apparato comunicativo. Da un paio di anni ne facciamo anche la vetrina delle attività di restauro grazie al ciclo «Caring for art. Restauri in mostra» esponendo opere restaurate di dimensione compatibile con gli spazi. Ora è il turno di una scultura, affascinante per qualità e storia, proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, raffigurante un Satiro che si guarda e si tocca la coda. Da fine luglio invece sarà la volta di un frammento di affresco di Giotto, unico superstite di un ciclo realizzato nell’antica Basilica di San Pietro e distrutto a seguito del rinnovamento rinascimentale della chiesa. Presentato alla mostra «Giotto e l’Italia», curata da Serena Romano e Pietro Petraroia (Milano, Palazzo Reale, 2015), era stato poi restaurato, ma mai mostrato a lungo al pubblico. Grazie alla generosità dei proprietari ora sarà possibile farlo nei mesi estivi. Si tratta di una delle iniziative pensate per celebrare i cinquanta anni dell’Istituto, che costellano l’intero 2025. Oltre a conferenze e approfondimenti è previsto a fine novembre un importante convegno sui risultati delle ricerche compiute nell’ambito del progetto Changes, che fa parte degli interventi finanziati col Pnrr, risultati che saranno raccontati anche in una mostra fotografica, affidata a Fondazione Marangoni e in un docufilm. A fine anno andrà in stampa un volume sostenuto da Fondazione Crf che racconterà per immagini 50 anni di attività, ma stiamo guardando anche al futuro: una nuova veste per la storica rivista «Opd Restauro» che sarà in parte online e in inglese, un progetto di ricerca sulla tecnica del pastello....
Attualmente quali sono i restauri più significativi che sta portando avanti l’Opificio?
È banale se affermo che ogni restauro è per noi significativo? Però se mi chiede di citare le opere più note le propongo la «Maddalena» di Desiderio da Settignano, finanziata da uno sponsor; dal Museo Capodimonte di Napoli sono arrivati la «Deposizione» di Polidoro da Caravaggio e una preziosa «Sacra conversazione» di Dosso Dossi, ma attendiamo per l’autunno Mantegna e Tiziano, mentre saremo noi a spostarci per intervenire sulla carpenteria della grande tavola di Simone Martini con «San Ludovico di Tolosa»; dalla galleria Estense di Modena abbiamo l’impressionante «Sant’Antonio da Padova» di Cosmè Tura e dal Bagatti Valsecchi la «Madonna con Bambino», polimaterica, di Ambrogio Bevilacqua. Stiamo inoltre intervenendo su di un trittico di Beato Angelico per la mostra che si terrà a Palazzo Strozzi dopo l’estate, con risultati che ne fanno un autentico inedito. Nel settore carta, oltre a lavorare su una miniatura di Pesellino proveniente dalla Biblioteca Marciana, ci sono in corso progetti su fondi fotografici della Fondazione Alinari, con la quale abbiamo un accordo specifico. Non posso poi non citare le porte di Donatello per la Sacrestia Vecchia di San Lorenzo o la grande croce reliquiario detta della Granduchessa dal Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, come la direzione tecnica del restauro sul Volto Santo si Lucca, complessa anche per la molteplicità di valori che si assommano in quella scultura straordinaria. E non ho citato tutti i settori…

Un momento del restauro delle porte di Donatello per la Sacrestia Vecchia di San Lorenzo
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