Tornano gli scioperi in Francia nel mondo della cultura

Le nuove gallerie Al Thani rimangono chiuse di fronte alle manifestazioni dei dipendenti del Centre des monuments nationaux (Cmn) contro i contratti precari, la mancanza di effettivi e i bassi stipendi

«Monuments de rêve, salaires de misère» (ovvero «Monumenti da sogno, stipendi da miseria»): così recitava lo striscione comparso sulla facciata dell’Hôtel de la Marine il 18 novembre, giorno dell’inaugurazione delle gallerie Al Thani © Cgt Cmn
Luana De Micco |  |  Parigi

«Monuments de rêve, salaires de misère» (ovvero «Monumenti da sogno, stipendi da miseria»): così recitava lo striscione comparso il 18 novembre in place de la Concorde sulla facciata dell’Hôtel de la Marine, nel giorno dell’inaugurazione delle nuove gallerie Al Thani con la collezione dello sceicco Hamad Ben Abdullah, cugino dell’emiro del Qatar. Dopo tre anni di lavori, le porte del museo sono però rimaste chiuse: i dipendenti del Centre des monuments nationaux (Cmn), l’ente pubblico francese che gestisce un centinaio di monumenti in tutto il Paese, hanno scioperato contro i contratti precari, la mancanza di effettivi e i bassi stipendi.

Hanno denunciato anche lo scarso impegno dello Stato per i suoi musei e l’accordo milionario firmato, nel 2018, tra il Cmn e il Qatar: «A causa dell’assenza dello Stato, ha scritto in una nota il sindacato Cgt Culture, il Cmn ha dovuto prendere in prestito più di 100 milioni di euro per realizzare l’apertura del sito, con conseguente infragilimento del suo modello economico. Il Cmn è stato anche obbligato, pur di trovare finanziamenti, a cedere 400 metri quadrati per 20 anni per la modica somma di 20milioni di euro all’emiro del Qatar. Ancora una volta il patrimonio storico diventa un pretesto per servire gli interessi delle più grandi fortune del mondo».

Il Qatar si è garantito una bella «vetrina» per la sua collezione. Oltre a pagare un affitto annuo (un milione di euro per i prossimi 20 anni), lo sceicco ha contribuito al restauro dell’Hôtel de la Marine e all’acquisizione all’asta per 1,2 milioni di euro di un commode di Jean-Henri Riesener. Cederà, inoltre, al Cmn tutto il ricavato della biglietteria. «Mentre l’apertura del museo ha mosso milioni di euro, hanno scritto i sindacati, una trentina di dipendenti si ritrovano a vivere sulla soglia della povertà, o al di sotto». Il monumento ha potuto parzialmente riaprire il 19 novembre, nel pomeriggio.

L’attesa per l’apertura delle nuove gallerie era evidentemente molto alta. I media, tra cui «Il Giornale dell’Arte», erano stati convocati tre giorni prima per la visita in anteprima delle gallerie. L’impatto del messaggio dei sindacati è stato altissimo. Il Cmn ha dovuto fornire spiegazioni pubbliche e, mentre scrivevamo, erano in corso i negoziati tra personale e direzione.

Un evento simile si era già verificato a Parigi lo scorso 29 maggio quando una rivendicazione sindacale aveva impedito la riapertura, anche quella attesissima, del Musée Carnavalet, dopo quattro anni di lavori e un’intesa campagna di comunicazione. Le porte del museo della storia di Parigi, con le prenotazioni al completo, erano rimaste chiuse. I dipendenti del museo (che appartiene alla Città) protestavano contro la riforma della funzione pubblica lanciata nel 2019, che prevede nuove regole sul tempo di lavoro, e per chiedere nuove assunzioni. Alla fine il museo ha aperto con un giorno di ritardo.

«In condizioni normali siamo invisibili, aveva spiegato all’epoca una militante del sindacato. In questo modo ci siamo resi visibili, anche se è spiacevole poiché impediamo alle persone di accedere alle collezioni. Ma è necessario che prendano coscienza della politica di smantellamento della funzione pubblica contro cui ci battiamo. Prima che i lavori cominciassero, nel 2016, eravamo 80 dipendenti, ora siamo 36. Se si possono aprire le mostre temporanee è soltanto grazie ai precari». Il 29 maggio altri musei, tra cui i Musées des Beaux-Arts di Rennes e di Nancy, erano rimasti chiusi per sciopero.

La protesta del mondo della cultura in Francia contro la «precarizzazione» del lavoro e la «mercificazione» della cultura, che favorisce il mecenatismo privato, non è nuova e si era solo messa in stand by a causa della pandemia. Il 14 gennaio 2020, i dipendenti del Mobilier National e delle Manifactures, istituzioni antiche e prestigiose che creano e restaurano gli arredi dell’Eliseo e delle altre dimore dello Stato, avevano simbolicamente gettato a terra i loro strumenti di lavoro in segno di protesta contro la politica della direzione per la quale, scrivevano, «la produzione e la redditività conta più del nostro “savoir-faire”».

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