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Storia economica dei pittori romani del Seicento

Arabella Cifani

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Frutto di ricerche durate oltre un quindicennio, è stato pubblicato un volume di Richard E. Spear, professore all’Università del Maryland e noto studioso di arte barocca italiana (nella foto); è dedicato a un tema assai importante ma sempre poco trattato, soprattutto dagli storici dell’arte italiani spesso ancora troppo intrisi da vapori crociani e longhiani: le vite economiche dei pittori romani nel Seicento. E sono vite difficili, esattamente come quelle degli artisti di oggi; per uno che riusciva cento stentavano o fallivano. Pochi guardando i quadri e gli oggetti d’arte nei musei, nelle chiese e nei palazzi pensano al dato economico che vi è sotteso. Gli artisti non vivevano d’aria e i loro lavori venivano pagati, ma quanto? Questo è il tema del volume, stimolante e importante nella sua pragmatica visione sul mondo degli artisti romani, sul sottobosco in cui molti di loro si dibattevano: fra invidie, maldicenze, carognate reciproche e quadri pagati con forme di parmigiano, ciambelle di marzapane, e a volte anche solo con una benedizione, poco utile per saldare il conto dal macellaio. Abbiamo intervistato l’autore del volume per farci spiegare i punti salienti del suo studio.

Professor Spear come mai ha deciso di scrivere su questo argomento così inconsueto? In arte si parla sempre di valori estetici, ma si ricorda poco che le cose belle da sempre costano. Qual è la genesi del suo libro?
Le spiegazioni di questo studio sono molteplici. La prima è che sono sposato con un’artista e dopo cinquant’anni di vita comune ho potuto constatare quanto sia importante il fattore economico nelle committenze e come il denaro possa influenzare l’aspetto stesso di un’opera d’arte. Già nel mio volume sul Domenichino (1982) avevo pubblicato un elenco di pagamenti al pittore ma, cosa più importante, quando ho studiato Guido Reni e letto la sua documentata vita scritta da Malvasia, ho potuto constatare come i soldi, in particolare quelli legati alla sua insana passione per il gioco d’azzardo, abbiano avuto un ruolo molto significativo nella sua carriera. Ho quindi pensato che l’argomento poteva e doveva essere affrontato. Fattore decisivo è stata comunque la mostra «Il Genio di Roma: 1592-1623», tenutasi alla Royal Academy di Londra, nel 2001, che mi ha spinto a farmi domande circa la condizione socio-economica dei pittori esposti poiché nulla era stato scritto su questo tema nel catalogo. La mia ricerca ha prodotto dopo quella data una serie di saggi e in seguito due libri focalizzati su questioni economico-artistiche. 

Quanto tempo ha dedicato allo studio e alla stesura di questo volume? E quali sono state le difficoltà incontrate? 
La sfida principale è stata quella di fare del volume uno studio autonomo e nuovo, partendo dal mio saggio del 2010 Painting for Profit: the Economic Lives of Seventeenth-Century Italian Painters, dove la parte dedicata a Roma era legata a saggi su Napoli, Firenze, Bologna e Venezia. Ho dovuto pertanto operare una rigorosa revisione del materiale per trasformarlo in un libro a sé stante. Ho scritto una nuova introduzione, aggiornato la bibliografia, aggiunto molte illustrazioni. È importante sottolineare che l’argomento del volume sono i pittori e non i committenti e che, in generale, la letteratura sugli aspetti economici della vita dei pittori romani del Seicento è scarsa. Per questo lavoro ho raccolto più di mille i pagamenti effettuati ai pittori del Seicento di Roma che ora sono fruibili nella banca dati online del Getty Research Institute (www.getty.edu/research/tools/provenance/payments_to_artists/index.html).

Quali sono a suo parere le cose più interessanti, stimolanti e curiose che ha trovato in campo documentario? 
Forse il più interessante, e insieme frustrante, risultato della mia ricerca è stato il riconoscere che non esisteva una prevedibilità o standardizzazione dei prezzi. Giulio Mancini, scrivendo alla fine del secondo decennio del ‘600, constatava che era l’acquirente in ultima analisi a determinare il prezzo di un quadro, ma anche così, infinite sono le variabili che determinano la cifra che veniva pagata a un artista: le dimensioni, l’oggetto rappresentato, il numero di figure, i materiali ecc. e, naturalmente, quanto denaro vi era a disposizione in origine, per cominciare. Forse il fatto più sorprendente è che, studiando i costi di produzione (i pagamenti agli allievi, i prezzi delle tele e telai, i colori e anche gli affitti della bottega, il costo degli alimenti e del riscaldamento ecc.) è emerso che i profitti netti dei pittori di successo erano molto alti. Un quadro da cavalletto, di piccole proporzioni, poteva costare anche 50 o 100 scudi: la cifra con cui una famiglia di quattro o cinque persone a Roma intorno al 1600 poteva vivere un anno. Per le pale d’altare, gli artisti affermati potevano guadagnare centinaia di scudi, anche mille, in un’epoca in cui lo stipendio medio annuo di un professore dell’Università di Roma era di 166 scudi.

Che idea si è fatto della Roma seicentesca sul piano economico-artistico?
Roma era esattamente il luogo in cui un artista affermato poteva trascorrere una vita assai bella, grazie ai soldi che incassava dalla Chiesa e dalle famiglie aristocratiche. Ma in realtà arrivare a certi livelli era difficile e anche pericoloso: la concorrenza era forte, le gelosie profonde e il costo della vita era alto, in particolare gli affitti, soprattutto se si voleva vivere nel «quartiere degli artisti» intorno a piazza di Spagna. Come nel mondo dell’arte di oggi, i collegamenti e le conoscenze erano cruciali per il successo. Inoltre, come nel mondo dell’arte di oggi pochi artisti potevano dirsi veramente ricchi.

Gli artisti secondo lei se la passavano tutti male e vivevano esistenze miserabili (a parte qualcuno) o a Roma si poteva trovare fortuna economica e sociale? Quali i più ricchi e quali i più poveri? Ci presenti qualche caso emblematico.
È difficile determinare quanti pittori fossero attivi nella Roma del Seicento. Ho stimato che fossero alcune centinaia, sebbene la definizione di pittore sia, in rapporto all’epoca, complessa e molto più ampia rispetto alla nostra. Ovviamente non ho calcolato i numerosi artisti stranieri che hanno abitato a Roma solo per qualche tempo. La stragrande maggioranza di loro certamente non era ricca; molti erano poveri, e basavano il loro lavoro più sulla quantità che sulla qualità. Scorrere i documenti aiuta a capire quanto poco sappiamo ancor oggi sui pittori romani, che spesso sono ancora solo dei nudi nomi nelle carte d’archivio. Bernini era indubbiamente l’artista più ricco di Roma e guadagnò molti soldi come architetto e scultore con il Vaticano. Pietro da Cortona, pittore e architetto, era il secondo in ordine economico. Guido Reni era il più facoltoso fra quanti dediti esclusivamente alla pittura. Altri artisti lasciarono grandi fortune: Romanelli, Maratta, Gaulli, Ferri, Barocci, il Cavalier d’Arpino. I pittori attivi in altre città italiane non erano così abbienti come coloro che lavoravano a Roma.

Che cosa rappresenta per lei Roma? E che visione ha della attuale situazione della storia dell’arte italiana?
Questa è una domanda impegnativa! Amo molto Roma, vi ho vissuto a lungo e la trovo artisticamente inesauribile. Ritengo però assai brutto ciò che il turismo di massa sta facendo alla città che, tuttavia, è ancora per me un luogo magico. Ho grande simpatia per i tanti giovani storici dell’arte italiani che non trovano lavoro: un problema che deriva in parte dal numero limitato di posti causato del cattivo stato dell’economia italiana, e in parte dal fatto che l’Italia ha una lunga tradizione di nepotismo e raccomandazioni che fanno sì che siano le conoscenze, piuttosto che le qualità, a determinare l’ottenimento di un lavoro, di un impiego. Il principale e positivo cambiamento a cui ho assistito nella storia dell’arte italiana degli ultimi decenni è, finalmente, la nuova attenzione ai documenti e agli archivi, contro attribuzioni che spesso non erano sostanziate da dati storici. Nello stesso tempo voglio segnalare che ciò che negli Stati Uniti e nel Nord Europa sono diventati aspetti fondamentali della disciplina storico artistica, ovvero, le ricerche interdisciplinari di tipo psicoanalitico, di impianto femminista, di genere, di ottica marxista, di carattere economico e di cultura materiale ecc., hanno invece avuto un impatto relativamente limitato nella storia dell’arte italiana.

Dipingere per profitto.
Le vite economiche dei pittori
nella Roma del Seicento
di Richard E. Spear
traduzione di Dina Cavazzini
214 pp., ill. col.
Campisano, Roma 2016
€ 40,00

Arabella Cifani, 02 gennaio 2017 | © Riproduzione riservata

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