Secondo Bini Smaghi «erano dimissioni concordate»

Il presidente del Cda del Centro Pecci di Prato racconta perché hanno deciso di licenziare la direttrice Cristiana Perrella: «Avevamo strategie diverse per un museo che è il più costoso a visitatore d’Italia»

Lorenzo Bini Smaghi
Stefano Miliani |  | Prato

Economista, già presidente della Fondazione di Palazzo Strozzi a Firenze e dal dicembre 2019 presidente della Fondazione per le Arti Contemporanee in Toscana che gestisce il Centro per l’Arte Contemporanea «Luigi Pecci», Lorenzo Bini Smaghi (Firenze, 1956) racconta a «Il Giornale dell’Arte» la sua versione sul licenziamento di Cristiana Perrella nel tardo pomeriggio di venerdì 8 ottobre. Giusto per ricordarne il contesto, parliamo di un museo dove da fuori si arriva direttamente solo con l’auto e collocato in una città ferita da una lunga crisi industriale.

Presidente, perché avete licenziato Cristiana Perrella in questo modo che è parso improvviso e perché adesso, visto che a febbraio le avevate rinnovato l’incarico?
Era previsto da un anno. Al momento del rinnovo avevamo proposto alla direttrice un contratto di un anno, lei invece ci ha chiesto un contratto di tre anni e con l’impegno di dimettersi dopo uno. Questo le avrebbe consentito di uscire in modo più elegante e di rafforzare la sua posizione. Abbiamo concordato la sua lettera di dimissioni e il comunicato stampa da emettere al momento del primo ottobre quando doveva dimettersi con il preavviso di sei mesi. Il problema è che al momento di dare le dimissioni lei ha detto che non intendeva farlo e voleva essere ricompensata per un danno alla sua immagine derivata da questi fatti. Sostanzialmente in una settimana di discussioni Cristiana Perrella insisteva che avevamo deciso noi (la rescissione del contratto, Ndr) ma il contratto prevedeva la possibilità di cessarlo da entrambe le parti. In realtà avevamo già deciso insieme un percorso di un anno, non di tre.

La scadenza del contratto era il 2024.
Era il 2024 ma l’accordo era che lei sarebbe dovuta partire nel 2022 con un preavviso di sei mesi: dunque il primo ottobre avrebbe dovuto dare le dimissioni. Cristiana Perrella non le ha date e ha messo la Fondazione nelle condizioni di dover agire.

A che cosa era dovuta la vostra decisione?
Abbiamo lavorato con lei per un anno su un programma ambizioso, per aumentare il numero dei visitatori, per fare mostre attrattive che riportassero al Pecci visitatori da tutta Italia, non solo dal territorio, con un programma di fundraising ambizioso. Alla fine di questo anno non ci siamo messi d’accordo perché avevamo ambizioni diverse.

Dunque non siete rimasti soddisfatti?
Avevamo una strategia diversa. Il Pecci ha 43mila visitatori l’anno per un budget di circa tre milioni di euro, è il museo più costoso a visitatore d’Italia. I contribuenti di Prato si domandano sempre perché finanziarlo. Il mandato dell’amministrazione pubblica era aumentare il numero dei visitatori, allargare la platea anche all’Italia e soprattutto attraverso maggiori investimenti privati. E per averli bisogna che qualcuno creda che ci vuole il privato e che ci lavori. Ma andare in quella direzione non era nelle corde e forse nemmeno nel desiderio della direttrice.

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