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«Calamita Cosmica» (1988) di Gino De Dominicis al Forte Belvedere di Firenze

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«Calamita Cosmica» (1988) di Gino De Dominicis al Forte Belvedere di Firenze

Quanto è contemporanea Firenze?

Artisti e curatori, mostre, spazi istituzionali e non, residenze d'artista (ora al Museo del Novecento). Ecco le sfide, le storiche difficoltà e i progetti secondo i protagonisti della città. Ad oggi il Comune di Firenze non ha un assessore alla Cultura (delega appena attribuita alla vicesindaca), e così neanche la Regione

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Laura Lombardi

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Firenze è stata per secoli contemporanea e spesso importanti commissioni pubbliche sono state affidate a giovanissimi artisti: Donatello è poco più che ventenne quando esegue le statue per il Duomo e per Orsanmichele, e un secolo dopo, Pontormo e Rosso Fiorentino, diciottenni, sono chiamati a affrescare il Chiostro dei Voti della Santissima Annunziata. Quel momento è passato lasciando, com’è noto, tracce indelebili che sono fonte di guadagno per una città icona del turismo mondiale legato al «brand» Rinascimento.

Nello stesso anno in cui furono inaugurate le mostre medicee (1980), uno dei primi grandi progetti espositivi dell’era postmoderna, Lara Vinca Masini concepì una mostra che ebbe sicuramente più risonanza all’estero che non in Italia: «Umanesimo/Disumanesimo» con cui portò artisti italiani e stranieri nei cortili o all’interno di celebri monumenti fiorentini, non in nome di un vuoto dialogo, ma come messaggio di una continuità (pur nella discontinuità) che andava ristabilita. La città non rispose e l’esperimento restò soltanto nei libri di critica.

Eppure Firenze, tra gli anni Settanta e Ottanta, era vivacissima (basti ricordare cosa annota lo scrittore Pier Vittorio Tondelli in Altri libertini del 1980). Le istituzioni da allora poco hanno investito nell’arte contemporanea e soprattutto nel sostegno alle nuove generazioni di artisti e curatori, ai quali si preferiscono nomi internazionali sostenuti dal mercato (con esiti non sempre felici, come i «lupi» di Liu Ruowang che invasero le piazze nel 2020). La domanda che molti si pongono, rispetto all'attualità, è se qualcosa sia cambiato, se davvero le istituzioni tornino a credere non solo e non tanto in un’arte contemporanea di cassetta, ma nella promozione di giovani talenti da formare e da sostenere.

Ad oggi non esiste un assessore alla Cultura in Comune: dopo la partenza di Tommaso Sacchi, passato alla guida dell'analogo Assessorato a Milano, il sindaco Dario Nardella ha infatti preferito tenere per sé le deleghe alla Cultura, come già accaduto in passato, per poi passarle (a fine giugno) ad Alessia Bettini, sua vicesindaca, insieme a quelle del Turismo. Ma un assessore non esiste neanche nella Giunta della Regione Toscana, dove il nuovo presidente eletto Eugenio Giani riveste la carica che era di Monica Barni fino al 2020. Un segno di attenzione alla materia? O una stranezza?

Lo spunto per un’indagine su come stia il contemporaneo a Firenze parte da un evento recente, ovvero l’annuncio da parte del Comune della creazione di sette residenze per artisti nell’area delle Ex Leopoldine adiacenti al Museo del Novecento di piazza Santa Maria Novella: appartamenti, con accesso dalla retrostante via Palazzuolo, che comprenderanno per ciascun artista un’area abitativa ma anche spazi condivisi.

Il progetto, sul quale sono stati investiti dal Comune circa 900mila euro e che rientra in un’azione di riqualificazione dell’intero quartiere prossimo alla stazione ferroviaria, è stato fortemente voluto da Sergio Risaliti, direttore del Museo del Novecento. La progettazione dei lavori è del Servizio Belle arti del Comune e l’esecuzione è affidata a Cooperativa Archeologia. Il cantiere terminerà a febbraio. E se il sindaco Nardella evoca come modello la Cittadella delle Arti di Parigi, Risaliti preferisce citare il suo riferimento ideale: il Giardino di San Marco, voluto da Lorenzo Il Magnifico, dove giovanissimi artisti, tra cui Michelangelo, lavoravano insieme e si confrontavano con letterati e filosofi.

Può Firenze oggi svincolarsi dal peso del suo passato, sebbene molte logiche legate al mercato, centrale nel sistema dell’arte attuale, rendano difficile un’inversione di rotta, mancando anche collezionisti pronti a investire sui giovani? Questa panoramica, per esigenze di spazi, non coinvolge il territorio regionale e quindi neanche Prato, in cui sorge un polo di riferimento come il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci (ora diretto da Stefano Collicelli Cagol), per limitarsi a un focus sulla sola area urbana.

Sergio Risaliti, perché investire tanto nelle Ex Leopoldine quando certi progetti proprio di residenze da lei curati erano avviati alla Manifattura Tabacchi, molto attiva nelle proposte di giovani talenti e da cui è uscita ad esempio Ambra Castagnetti, che è ora tra le artiste della Biennale di Cecilia Alemani? «È vero, con la Manifattura Tabacchi ho un vecchio legame, infatti ho curato una mostra già nel 2001, "Boom" prima ancora che iniziassero i lavori di ristrutturazione degli spazi. Dal 2019 al 2021 ho ideato e curato tre cicli di residenze d’artista, con sei giovani scelti in prevalenza dalle Accademie, tramite un bando pubblico, della durata di 6 mesi circa, durante i quali i vincitori hanno avuto un alloggio in cui risiedere gratuitamente e una fee mensile. Ogni anno sono state prodotte da Manifattura mostre con i loro lavori e ho voluto dei titoli che risuonassero nell’esperienza e per l’ispirazione di questi giovani: "Cura", "Meraviglia", "Armonia". La Manifattura è però un’istituzione privata, che sta realizzando un intervento di rigenerazione complesso e di grande impatto. Un’esperienza unica in Italia. Ora sta per iniziare qualcosa di altrettanto unico al Museo Novecento. Un progetto di formazione e sostegno al talento creativo destinato ai giovani artisti e curatori che si troveranno a condividere la vita del museo stesso, partecipando alla costruzione di progetti espositivi ed eventi all’interno del complesso museale. Ci saranno poi altrettanti atelier all’interno dell’ex convento di Santa Maria Novella, dove aprirà anche il Museo della Lingua italiana, più uno spazio espositivo aggiuntivo che potrà funzionare da open space e palestra curatoriale. Io non conosco in Italia molti musei pubblici che offrano queste opportunità alla comunità».
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E la Fondazione Palazzo Strozzi, cosi vicina al Museo? Quale tipo di relazioni intrattenete con loro? «Si tratta di una complementarietà, nella differenza di approccio e visione culturale, che fa bene alla città. La nostra capacità finanziaria è tuttavia altra [inferiore n.d.r. ] e soprattutto la funzione museale è cosa diversa da quella di una fondazione come Strozzi che basa il suo programma di centro espositivo su grandi eventi di forte richiamo. Auspico tuttavia che in futuro possano nascere progetti importanti di collaborazione anche con altre realtà del territorio. Firenze ha cambiato prospettiva culturale e finalmente l’arte contemporanea non è più un fatto marginale, da guardare con sospetto e pregiudizio».

Quale è, Arturo Galansino, la «mission» della Fondazione Palazzo Strozzi di cui è direttore (presidente è Giuseppe Morbidelli), dove sono realizzateimportanti mostre di grandi nomi a livello internazionale?«Il nostro obiettivo è contribuire allo sviluppo culturale, sociale ed economico del nostro territorio, avvicinando ed educando all’arte tutti i pubblici in modo aperto e inclusivo. Oltre ad essere un punto di riferimento tra le istituzioni culturali, in questi anni Palazzo Strozzi è diventato un "caso studio", un’istituzione modello per i risultati ottenuti su tutti i fronti e per la sua sostenibilità. Abbiamo contribuito a promuovere un’immagine moderna e dinamica di Firenze rivolgendosi a un turismo di qualità, in grado di generare un forte impatto sull'economia locale (oltre 225 milioni generati negli ultimi 5 anni) a fronte di un investimento pubblico contenuto, oggi intorno al 15% del nostro bilancio, e con il sostegno del settore privato e dell'impresa. Le nostre mostre contemporanee trattano i più urgenti temi del presente e invitano i più grandi artisti viventi a creare opere site specific confrontandosi con Firenze e con la sua storia. La prossima, un grande progetto di Olafur Eliasson, aprirà a settembre assieme alla Biennale dell’Antiquariato e a molti altri eventi. Proprio in questa direzione mi pare ottima l'iniziativa delle residenze d’artista del Comune che arricchirà Firenze grazie al contributo degli artisti che vi soggiorneranno».

Paolo Parisi, artista, tra i fondatori storici dello spazio «Base/Progetti per l’arte» (vedi dopo), oltre a spingere perché anche l’Accademia di Belle Arti, dove insegna, conquistasse laboratori alla Manifattura Tabacchi, ha seguito i borsisti delle residenze 2018-20: «Sono stati quasi tutti giovani selezionati da scuole pubbliche, scelta intesa come gesto politico, "massaggiati" con studio visit e visite a musei e collezioni (come Villa Gori a Celle), incontri con artisti, curatori, aziende e workshop con alcuni di loro, come nel caso di Giulia Cenci, Rä di Martino, Elena Mazzi, Alberto Garutti, Cesare Viel, Luca Vitone, Vedovamazzei, Pantani-Surace». Da queste residenze è poi nato Toast, ideato da Stefano Giuri: «È il frutto di una mia residenza alla Manifattura, al termine della quale, dopo aver realizzato la mia opera, ho chiesto a Risaliti di poter tenere per me la guardiola della Manifattura, uno spazio da condividere con gli artisti della mia generazione, tra cui Matteo Coluccia, Alice Visentin, Giuseppe De Mattia, Marcello Spada. Il progetto è finanziato dalla Manifattura ma anche da bandi pubblici»
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Dal 2020 la Manifattura Tabacchi è divenuta sede di NAM-Not A Museum, una piattaforma dedicata alle pratiche artistiche contemporanee, secondo un’impostazione interdisciplinare, che include residenze d’artista, aperta ad artisti di ogni provenienza e formazione, mostre e un programma pubblico. A dirigere NAM è Caterina Taurelli Salimbeni, che aveva iniziato proprio lì, nel 2019, al tempo delle residenze diretta da Risaliti, nel ruolo di coordinatrice: «Stiamo creando un campo che supporta la produzione di artisti e curatori "di nuova generazione" all’interno della scena artistica locale e nazionale, con un’attenzione particolare al contesto territoriale e alla formazione dei più giovani. Il 2022 include infatti due novità: l’apertura a curatori esterni nella realizzazione di progetti espositivi e la relazione con l’Accademia di Belle Arti e l’Università di Firenze per la formazione degli studenti come mediatori culturali, che rappresentano un legame imprescindibile tra i linguaggi artistici e le tematiche contemporanee. In questo contesto nel 2021 è partito il progetto "Superblast": sei artisti under 40 sono selezionati tramite bando internazionale sulla base di una proposta progettuale che sottopongono a una giuria esterna, che ogni anno cambia, e sulla base di un tema proposto in fase di open call. La residenza si conclude con una mostra collettiva ed è completata da un libro edito da Nero. Attualmente è in corso la seconda edizion, con gli open studio, momento in cui il pubblico può incontrare gli artisti e conoscere il lavoro che stiamo portando avanti».
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Nella Manifattura si è trasferito «Veda» del giovane gallerista Gianluca Gentili: dopo tre anni nel centro storico, Gentili ha sentito la necessità di uno spazio più grande ed adatto alle esigenze del suo programma: «La Manifattura è una realtà giovane e potenzialmente più cosmopolita e che accoglie anche un pubblico affine alle nostre ricerche e prospettive. Il punto forte di "Veda", infatti, è sempre stato il grande scambio con la scena internazionale, scambio che continuiamo a costruire e alimentare non solo con artisti, ma anche con curatori e colleghi. Come galleria, portare avanti il nostro lavoro in una città come Firenze è sicuramente una grande sfida. Soprattutto per la sua posizione fuori da quel tessuto contemporaneo più solido che si trova in città come Milano; crediamo comunque nelle potenzialità di questa città e nella rete che sta andando formandosi. Anche per questo siamo felici di continuare ad avere la nostra sede qui».

Una realtà importante del contemporaneo fiorentino, che nel 2022 giunge alla XV edizione, è «Lo schermo dell’arte», ideato e diretto da Silvia Lucchesi, progetto internazionale dedicato a promuovere le relazioni tra arte contemporanea e cinema. Una delle rare occasioni in cui Firenze si è trovata a essere una meta irrinunciabile per chi si interessa e chi sceglie come mezzo espressivo le immagini in movimento, con anteprime italiane di artisti internazionali invitati a presentare i loro lavori. «Fin dai primi anni della sua attività "Lo schermo dell’arte" ha ritenuto fondamentale investire sulla promozione dei giovani artisti che lavorano con le moving images attraverso progetti di produzione, residenza e formazione. Quest’anno, per esempio, festeggeremo i 10 anni del programma "VISIO", ideato e curato da Leonardo Bigazzi, con una pubblicazione che sarà un’occasione per riflettere sullo stato delle moving images nell’era digitale. "Lo schermo dell’arte" è cresciuto in questi anni anche grazie all’attenzione delle istituzioni locali, della Fondazione CR Firenze e di alcuni partner privati. Nonostante che la crisi pandemica abbia duramente colpito il mondo della creatività e della cultura, è necessario continuare a lavorare insieme su una visione strategica del contemporaneo che possa sostenere i soggetti del territorio con l’obiettivo di posizionare la nostra città sul piano internazionale».
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Leonardo Bigazzi, oltre al sopracitato «VISIO», le cui due ultime edizioni sono sfociate nelle mostre alla Manifattura Tabacchi «Resisting the trouble» e «Thinking Beyond» (negli anni precedenti erano state a Palazzo Strozzi), è coinvolto in molti altri progetti, tra cui la Fondazione In Between Art Film a Roma (ora a Venezia con la mostra «Penumbra»). Quali sono le cause della debole identità fiorentina legata al contemporaneo?: «Le cause sono innumerevoli e complesse. Ci sono state negli ultimi anni iniziative di valore rivolte all’arte contemporanea sia a Palazzo Strozzi che alla Manifattura Tabacchi, ma manca una vera visione sistemica sulla città e un’ambizione internazionale. Penso al Museo Marini, che è stata una realtà di ricerca importante sotto la direzione di Alberto Salvadori, col quale ho lavorato nel 2015 e 2016, che è stato privato da anni delle figure scientifiche interne di direzione e curatela (c’è solo un presidente, Patrizia Asproni, e guest director nominati annualmente, Ndr). Rispetto a città come Bologna, Torino, Palermo o Venezia, Firenze è indietro. La città fatica a tenere i suoi talenti, e non ne attrae di nuovi, per questo servono iniziative strutturali e investimenti che permettano alle realtà più importanti di crescere. In questo senso ritengo che il progetto delle residenze al Museo Novecento sia molto positivo, perché Firenze ha bisogno di artisti giovani che contribuiscano a creare relazioni nazionali e internazionali. Ritengo molto positive in questo senso le nomine di Stefano Collicelli Cagol al Museo Pecci e quella di Elena Agudio alla direzione di Villa Romana».

Villa Romana è una istituzione tedesca ben presente nella vita culturale fiorentina, e molto seguita. Sede del «Villa Romana Prize» con 4 artisti vincitori provenienti dalla Germania e residenti ogni anno a Firenze per 10 mesi, accoglie numerose iniziative che coinvolgono e sostengono artisti e curatori di area fiorentina. Finora a dirigerla brillantemente è stata Angelica Stepken. Dopo qualche apprensione in vista della scelta del successore, è stata molto ben accolta la notizia della nomina di Elena Agudio. «Sono a Berlino da quindici anni e non ho quindi potuto seguire la realtà contemporanea di Firenze con continuità. Mi sembra però che progetti vibranti come quello di “Black History Month Florence” (oggi estesosi con l’altro progetto “The Recovery Plan”) che Villa Romana ha sostenuto dal 2017 possano divenire trainanti, ed è mia intenzione aprire sempre più a queste e altre comunità diasporiche: non solo quindi le black communities ma anche comunità albanesi, bengalesi, filippine, moldave, per menzionarne solo alcune, all’insegna di coabitazione e convivialità. Un asse del mio progetto (che per la mia application avevo intitolato "A House for Mending, Troubling, and Repairing") si focalizza infatti sull’esperienza di “diasporic (be)longing”, con la parentesi per giocare sul significato di nostalgia e di appartenenza. Oltre alle residenze lunghe continueremo anche a supportare residenze più brevi di 3 mesi (come quella con ERIAC, The European Roma Institute for Arts and Culture) ed è mia intenzione aprire sempre più alla città e in particolare ai giovani. E anche ai bambini».
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Nel 2017 l'artista Justin Randolph Thompson ha costituito insieme a Janine Gaelle Dieudji un collettivo curatoriale con il nome BHMF («Black History Month Florence»), dopo aver organizzato una mostra alla Galleria Biagiotti e un talk al Museo Marino Marini. Dal 2017 il collettivo collabora principalmente con Villa Romana (dove ha creato la piattaforma «Black Alliance Archive»), la SRISA District (Santa Reparata International School of Art)e il MAD Murate Art District (dove ha una residenza permanente intorno a «Black Archive Alliance»).

«Le nostre collaborazioni, spiega Justin Randolph Thompson, si sono poi estese fuori dalla Toscana con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Museo MAGA a Gallarate e Palazzo d’Accursio a Bologna. A Firenze abbiamo recentemente inaugurato la mostra a Palazzo Pitti dedicata a Sammy Baloji insieme alle curatrici Lucrezia Cippitelli e Chiara Toti. Siamo partiti come una rete di spazi con la volontà di dare visibilità ad artisti africani e afrodiscendenti e compiere una mediazione tra loro e le istituzioni, supportandoli in ogni aspetto del loro lavoro, ricerca e linguaggio curatoriale, curando circa dieci mostre all’anno. Con Simone Frangi abbiamo anche creato la piattaforma YGBI per ospitare in residenza artisti under 35 e afrodiscendenti legati all’Italia in un percorso che promuove la collettività». E dove trovate le risorse per BHMF? «A Firenze abbiamo supporto sugli spazi e servizi ma, a parte il caso del MAD, non abbiamo mai avuto fondi dalle amministrazioni pubbliche, se non borse ottenute partecipando a bandi con i fondi erogati sempre molto inferiori alle nostre richieste. Riusciamo però a sostenerci grazie alla rete di istituzioni con cui collaboriamo, ma soprattutto grazie alle risorse che vengono da progetti realizzati fuori Firenze».
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MAD Murate Art District è il centro di produzione e residenze artistiche del Comune di Firenze diretto da  Valentina Gensini, che dal 2016 a oggi ha accolto molti artisti di ambiti disciplinari diversi del territorio e internazionali che lavorano a progetti di ricerca inediti, al termine dei quali condividono con la cittadinanza il proprio lavoro: «Gli artisti in residenza trovano talvolta situazioni stanziali nella comunità, come nel caso delle "Residenze d’artista a scuola", cui hanno lavorato anche i registi Alessandro Cassigoli e Casey Kauffmann. Tematiche centrali sono "Identità globali e Postcolonial", affrontate con artisti come di Barthélémy Toguo, Karin Olivier, Alessandra Ferrini e la residenza triennale di Black Archive Alliance, ma anche "Ecologia ed Ecosofia", poi le relazioni tra "Arte Memoria e Paesaggio", con il pluriennale Progetto RIVA cui hanno collaborato, tra gli altri, Adrian Paci, Bernard Fort e Yuval Avital. Nostro intento è valorizzare la transdisciplinarità e apertura dei linguaggi, la residenza come occasione unica di ricerca e produzione (penso ad Ana Vujovic), la committenza pubblica come responsabilità, la partecipazione inclusiva come invito a una cittadinanza consapevole, verso cui stiamo rivolgendo i progetti in corso di Jacopo Baboni Schilingi e Ilaria Turba».

Tra le presenze del contemporaneo a Firenze, con un percorso mai interrotto dal 1998, c’è l’«artist-run space» Base/Progetti per l’arte: un collettivo di artisti (di cui attualmente fanno parte Mario Airò, Marco Bagnoli, Massimo Bartolini, Vittorio Cavallini, Yuki Ichihashi, Paolo Masi, Massimo Nannucci, Maurizio Nannucci, Paolo Parisi, Remo Salvadori ed Enrico Vezzi) che curano mostre di altri artisti di tutto il mondo, i quali realizzano progetti site specific per lo spazio fiorentino. Enrico Vezzi è tesoriere di «Base» e artista impegnato nell’ambito di altre realtà non profit fiorentine, come «Portineria» (portineria nel vero senso della parola: suo curatore è Matteo Innocenti), ma anche del territorio.
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Come si sostengono simili progetti? «Sosteniamo la nostra programmazione spesso navigando a vista: o affidandoci a un bando cittadino che copre quota parte delle spese oppure autofinanziandoci, andando a ridimensionare quasi sempre le reali potenzialità. Nel caso di progetti di natura più estemporanea e anche con finalità educative come "Imboscata" da me ideato con altri artisti nell’Empolese o il progetto "Estuario" di cui sono tra i fondatori a Prato. Perché queste iniziative non siano fuochi fatui, sarebbe auspicabile intervenire sia calibrando i bandi in rapporto alle peculiarità e alle reali esigenze dei partecipanti, sia, come già avviene in molte altre città italiane, rafforzando le interconnessioni e il dialogo tra i vari operatori del contemporaneo del territorio. Pianificando annuali giornate di incontro tra i rappresentanti delle realtà esistenti e realizzando un’efficace piattaforma online, per condividere internamente e esternamente le operatività di tutti e far sì che le tante voci divengano, finalmente, una voce sola».

Lorenzo Bruni
critico d’arte legato al collettivo di Base sottolinea la vitalità del progetto che va avanti nonostante le difficoltà: «Dopo la pandemia, gli artisti invitati (Deimantes Narkevičius, Pavel Büchler) hanno concepito per Base progetti che si connettono in maniera evocativa alla storia di Firenze, ragionando quindi sulle relazioni con la città e il suo vissuto al di fuori dell’immagine Disneyland che troppo spesso Firenze produce. La prossima mostra sarà di Mircea Cantor».
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Significativo è il ruolo che da anni svolge in città Pietro Gaglianò, critico d’arte e curatore di Scripta. L'arte a parole, festival dedicato alla critica d’arte contemporanea che attira a Firenze autori e artisti in spazi non istituzionali. Sponsorizzata fin dall’inizio dalla Libreria Brac, e accolta negli spazi di Villa Romana per alcuni talk, oltre che in diverse "case del popolo", Scripta ha avuto nel 2021 un finanziamento della Fondazione CR di Firenze e «Toscana in contemporaneo» e da quest’anno godrà di un contributo triennale del Comune di Firenze: «L'impegno con il festival Scripta negli ultimi anni si sviluppa in due direzioni principali: la relazione con gli storici incubatori di socialità, le case del popolo e i circoli, e la pedagogia informale. Penso che, al fianco delle tradizionali attività istituzionali, le prospettive di sviluppo siano proprio nell'individuazione di nuovi pubblici e nella definizione di nuove "spettatorialità", e questi sono alcuni dei possibili strumenti ».

La «Fondazione CR Firenze» con l’«OAC- Osservatorio per le Arti Contemporanee» finanzia inoltre progetti destinati agli under 35. Tra quelli in corso, «Physalia», ideato da Alice Consigli e promosso da Fosca che ha come obiettivo la ricerca e la mappatura di artisti emergenti, collettivi e realtà associative che operano nell’ambito di arte visiva, danza, musica, performance, new media art e che opera anche in collaborazione con il MAD.

Tra le realtà virtuose c’è Virgilio Sieni, danzatore e coreografo, attivo in ambito internazionale per istituzioni teatrali, musicali, fondazione d’arte e musei. Con Sieni nel 2003è nato Cango, un luogo di ricerca, trasmissione, residenza e visione, articolato in tre spazi predisposti per la danza che dal 2015 è sede del «Centro nazionale di produzione» diretto dallo stesso Sieni. Dal 2018, grazie a un importante intervento di restauro della Fondazione CR di Firenze è rinata la Palazzina dell’Indiano all’interno del parco delle Cascine e Sieni è direttore di Palazzina Indiano Arte (Pia) le cui attività, curate dal suo Centro e sostenute da Regione e Comune di Firenze, sono mirate alla relazione tra corpo e natura, territorio e gesto. Da ultimo, Fabbrica Europa nata nel 1994 da un’idea di Maurizia Settembri e Andrés Morte Terés: officina, bottega, palcoscenico, laboratorio della ricerca e della sperimentazione, ha restituito alla città un luogo di archeologia industriale, la Stazione Leopolda, divenuta centro di incontro, di creazione, di formazione e produzione internazionale e multiculturale e che per i progetti più significativi gode di fondi dell’Unione Europea. Significa che danza e teatro a Firenze stanno meglio?
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Rimane il rammarico per la mancanza di un networking tra le varie attività e carenza di appoggio da parte delle istituzioni. Elena Pianea, a capo della Direzione dei Beni, attività culturali e sport della Regione Toscana, sostiene invece che l’attenzione nei confronti dei giovani rappresenta oggi una delle strategie prioritarie della Regione: «Non pensiamo solo agli artisti, a chi opera nel mondo del cinema, del teatro o della danza, ma anche ai giovani curatori; ci interessa concentrarci su quel momento di transizione che sta tra la conclusione degli studi e il mondo del lavoro, cercando di sostenere la professionalità di coloro che rischiano altrimenti di essere eterni stagisti malpagati. Le misure di sostegno sono due: quelle ordinarie con fondi regionali finanziate dal bando "Toscana in contemporaneo" e quelle FSE (Fondi Sociale europeo). Certo, siamo in un momento di crisi di bilancio dopo la pandemia ma per quanto possibile abbiamo cercato di mantenere il nostro sostegno soprattutto a Palazzo Strozzi che svolge un ruolo importante nella vita culturale della città e con il "Toscana in contemporaneo" appoggiamo il sistema territoriale coordinato dal Centro Pecci di Prato, nostra istituzione di riferimento per le politiche sul contemporaneo. Per il futuro prevediamo nuove linee di intervento...».

Al termine di questa carrellata, il panorama non sembrerebbe così fosco. Anzi, da Firenze emergerebbe un pullulare di iniziative e di progetti futuri, e vien da pensare che la presenza di poche critiche sporadiche dei singoli intervistati siano legate alla preoccupazione di avere ancor meno aiuti di quelli nei quali possono sperare. Degli sforzi certo sono stati fatti dalle istituzioni ma un po’ a singhiozzo, un anno sì e l’altro no, mentre è ben noto che solo la continuità di una programmazione pluriennale consente una progettualità che possa, in prospettiva, sradicare un’immagine che si è consolidata nel tempo: quella di Firenze come «commercial landscape», per fare eco al titolo di un video di Christian Jankowski del 2001 girato nelle terre senesi.

Un fatto emerge però chiaro (e da alcuni è stato qui espresso): l’incapacità di fare sistema, in modo da superare una condizione attuale fatta di realtà separate e raramente aggregate, perché siano invece dialoganti in maniera fattiva. Altrimenti tutto si riduce a una lotta tra poveri. L’altro aspetto fondamentale è la sostanziale mancanza di una vera rete di collezionismo in città che investa sui giovani e di partner privati del territorio che sostengano le istituzioni che operano nel contemporaneo, cosa che avviene invece in altre sedi.

Esempi di collezionismo importante ci sono (Carlo e Rosella Nesi, Giuliano Gori per la Fattoria di Celle) e non va dimenticato come la Toscana ospiti una galleria contemporanea nota a livello planetario quale la Galleria Continua, nata a San Gimignano dall’iniziativa di tre giovanissimi, supportati dal critico e gallerista Luciano Pistoi nel loro sogno di fare di San Gimignano, città delle torri medievali, una meta del contemporaneo. I grandi collezionisti vengono in Toscana, dunque, ma su Firenze non investono.

Tuttavia, al di là del collezionismo, il problema di fondo è che, nell’era dei social, appare sempre più difficile distinguere che cosa veramente valga la pena di sostenere e che cosa meno, e che si rischi quindi di dare credito e spazio a chi meglio si racconti su Instagram. Forse, vien da dire, per un futuro del contemporaneo a Firenze sarebbe necessario avere meno ambizione di grandi titoli sui giornali, mirando a investimenti su professionalità che trattengano i giovani e impediscano la fuga dei talenti. Meno spot e più impegno silente.

L’esterno del MAD - Murate Art District

Una veduta della mostra di Pavel Buchler «Level» (2022), Base/Progetti per l’arte, Firenze. Foto Leonardo Morfini, Adrya

«Il Sovrumano», installation view La Portineria, Firenze. Foto Leonardo Morfini

«Black Alliance Archive» organizzata da BHMF negli spazi di Villa Romana

Nuova direttrice di Villa Romana Elena Agudio

Una veduta della mostra di Aviva Silverman «A House Can’t Flood That Never Gets Built» (2022), Veda, Firenze

Una veduta della mostra di Michele Gabriele «The vernal age of miry mirrors» (2022), Manifattura Tabacchi, Firenze. Foto Flavio Pescatori. Cortesia dell’artista e NAM - Not A Museum

Una veduta della mostra di Alice Visentin «Cieli Neri» (2021), Toast Project Space, Firenze. Foto Leonardo Morfini

Un rendering della corte tergale che collegherà i laboratori con il Museo Novecento

Laura Lombardi, 11 luglio 2022 | © Riproduzione riservata

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