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Quanti botti con pochi lotti

Michela Moro

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Pietro De Bernardi è nipote d’arte: ha raccolto infatti l’eredità di Pandolfini Casa d’Aste a Firenze dal nonno Cirano. «Mio nonno, per quanto anziano, ebbe la giovinezza mentale di affidarmi l’azienda, fondata da suo padre nel 1924, quando avevo solo ventisei anni, e mi pare di non aver tradito la sua fiducia», dichiara. Sicuramente l’avo può essere soddisfatto: quasi cent’anni dopo la fondazione, Pandolfini ha chiuso il 2016 con un ottimo totale di vendite di 26,2 milioni euro e ha inaugurato una nuova sede a Roma in via Margutta. «All’epoca ci occupavamo quasi esclusivamente di antiquariato, ma io ho sempre guardato al futuro, tra l’altro con un grande interesse per le nuove tecnologie, tanto che siamo stati la prima casa italiana ad avere un sito internet, e all’epoca non era scontato.

Piano piano abbiamo aperto nuovi dipartimenti, ci siamo ampliati, sempre lavorando sul modello delle grandi case d’asta internazionali. Il 2016 è stato un anno importante per noi, anche se il trend era iniziato già nel 2015. Gli investimenti fatti hanno portato risultati incoraggianti, ad esempio è raddoppiato il fatturato dell’arte moderna e contemporanea, settore che offre il maggior margine di crescita; con le aste battute anche a Milano abbiamo ottenuto un buon 3.630.000 di vendite. Per il 2017 posso anticipare l’affidamento di una collezione di arte italiana degli anni Sessanta-Settanta, e l’apertura di un nuovo dipartimento».

Certamente l’inaugurazione della sede romana è stata un passo importante, anche se da tempo Pandolfini aveva uffici nella capitale. «Via Margutta è una sede vera e propria, prosegue De Bernardi, dove concentriamo tutte le nostre attività di valutazione, selezione e preview legate al Sud Italia. La sede è arricchita inoltre da un nuovo spazio espositivo, che sarà curato da Benedetta Borghese, responsabile dell’ufficio romano». L’anno appena trascorso è stato denso per la casa fiorentina, ma per De Bernardi la miglior notizia del 2016 è stata la «media lotto» ai vertici delle classifiche. «Secondo i rilevamenti dell’Art Market Report del Tefaf la “media lotto” è di 10mila euro, mentre le nostre sono state di 51mila euro nell’asta “Capolavori da collezioni italiane”, e di 26mila euro nell’asta della Raccolta Romano. Questo succede perché in questo genere di vendita operiamo una selezione molto rigida alla fonte, e il pubblico sa in anticipo che i lotti hanno un carattere di alta qualità. Ero consapevole di correre dei rischi proponendo aste di pochi lotti, sono andato anche contro lo scetticismo di alcuni collaboratori, ma è un nuovo corso, un format che ci ha dato soddisfazione, come si vede».

De Bernardi è conscio del fatto che il mercato sta attraversando un periodo di cambiamento epocale, che ha coinvolto anche i collezionisti e il loro modus operandi: «I collezionisti sono cambiati. La fascia medio bassa è scomparsa, e anche le nostre proposte hanno una barriera d’entrata maggiore, ma questo modo di lavorare ci porta a essere percepiti, grazie anche all’accuratezza dei nostri cataloghi e delle nostre schede, allo stesso livello, con le medesime garanzie delle case d’asta internazionali». Già, essere internazionali anche grazie alle vendite online. Alle aste Pandolfini accanto allo schermo con l’opera all’incanto in quel momento, che riporta anche le indicazioni delle valute, da tempo compare uno schermo rivolto verso il pubblico, che permette di seguire in maniera inequivocabile le offerte che arrivano attraverso la rete e l’attività dei possibili acquirenti: «Come ho già detto sono appassionato di nuove tecnologie e sono convinto che più cose interessanti offri a un pubblico vasto maggiori risultati ottieni, e questo è un sistema sempre più utilizzato dai collezionisti, un pubblico globale che magari non può viaggiare in continuazione ma che è sempre molto informato e attivo».

Il canale online si dimostra sempre più importante, ad esempio, nelle aste di vini. «Nelle aste dedicate ai vini, prosegue De Bernardi, riscontriamo più attività online che ai telefoni; capita che gli acquirenti comprino 70-100mila euro di vini online, ed è maggiore la presenza online che in sala, ma questo non diminuisce i risultati, anzi: in sala si trovano i professionisti del settore che vogliono capire l’andamento del mercato più che i collezionisti. E abbiamo aste di vini che quest’anno hanno fatto il 95% del venduto. A ottobre abbiamo addirittura avuto il «white glove», ovvero abbiamo registrato il 100% di venduto, con 250 lotti. Un’annotazione: le vendite online sono così importanti per noi che nelle aste di Firenze facciamo una vera e propria regia con tre telecamere che rendono in maniera più efficace l’atmosfera, e non sono solo statiche sul battitore». Firenze per Pandolfini rimane al centro di interessi che paiono di nicchia ma che producono risultati rilevanti, come le maioliche. «Non posso non ricordare la Coppa su alto piede, lustro firmato da Mastro Giorgio Andreoli del 1526, aggiudicata a 437.500 euro; così come la Coppa Maiolica di Faenza, probabilmente della bottega di Casa Pirota datata 1521-20 e aggiudicata a 271.400 euro nell’asta del novembre scorso, nei top lot di quest’anno.

Ma tra le aste memorabili per noi rimane unica quella di arte orientale del novembre 2014, con la vendita del vaso cinese della dinastia Qing, del XIX secolo, aggiudicato a un acquirente cinese per 7,44 milioni di euro e che ha posto Pandolfini sotto gli occhi della comunità internazionale e asiatica in particolare. Poi nel 2015, sempre con “Capolavori da Collezioni Italiane”, abbiamo ottenuto una vendita totale di 4,6 milioni di euro, con meno lotti delle precedenti ma con dei bellissimi Boldini e De Nittis». Possibile che in questo momento tutto vada così bene? «Posso dire che il mercato degli orologi è salito a livelli pazzeschi, vedo passare pezzi che poi vengono rivenduti a Ginevra in circuiti internazionali». Negli ultimi tempi molte case d’asta sostengono che «notifica è bello». De Bernardi, su questo argomento, è più equilibrato: «È sicuramente un sistema per acquistare a cifre possibili opere di altissima importanza artistica, altrimenti inarrivabili; quello che non è apprezzabile è quando contestualmente all’acquisto viene segnalata la notifica sul pezzo». Si dice che il detentore del mercato sia oggi il venditore, ma anche in questo caso De Bernardi offre un’interpretazione più prudente: «Certamente il fattore critico è reperire opere e oggetti di grande richiamo e alto livello qualitativo, ma per opere “normali” il venditore deve scendere a molti compromessi».

Di sicuro oggi le case d’asta hanno la possibilità di influenzare in maniera più massiccia il gusto dei collezionisti e di conseguenza stabilire nuovi trend. Secondo De Bernardi,  «da una parte il gusto sta diventando, per un certo genere di collezionisti, sempre più globale, dall’altra le case internazionali, a differenza di noi italiani, fanno squadra, comprano gallerie, firmano accordi con grandi fiere, fanno vivere da vicino ai collezionisti l’aria che tira. Questo certamente paga, anche se sono convinto che rispetto, ad esempio, al gusto italiano, gli americani siano a tutt’oggi interessati più al Rinascimento che al resto. Per rendersene conto, basta osservare l’andamento del contemporaneo e considerare quante opere delle Italian Sales sono poi finite nelle collezioni e nei musei americani». Eppure, proprio parlando di America pare che il trend più recente sia invece quello di bypassare le case d’asta e utilizzare transazioni private, meno onerose rispetto alle richieste e ai margini di questa società. De Bernardi non si scompone: «Le nostre private sales vanno bene, ma è un sistema che preclude i picchi, a volte inattesi, delle vendite in sala che modificano le valutazioni. Peraltro non vedo come le vendite in trattativa privata possano sostituire il mercato all’incanto che è un meccanismo economico, non artistico. Mi pare difficile rivoluzionare un sistema che tra l’altro produce un notevole gettito fiscale».

Michela Moro, 09 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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