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Odio e amore tra direttori e comitati scientifici

Per ciascuno dei venti «supermusei» autonomi quattro membri siedono nel comitato a titolo gratuito. Ecco la nostra verifica dal vivo

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Redazione GDA

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Il 26 ottobre 2016 lo storico dell’arte Giovanni Agosti si dimise dal comitato scientifico della Pinacoteca di Brera a Milano perché il direttore, James Bradburne, aveva etichettato il dipinto «Giuditta e Oloferne» scoperto a Tolosa come opera certa di Caravaggio, così come avevano preteso i prestatori. Al di là del fatto che un museo pubblico non avrebbe forse dovuto sottomettersi agli interessi privati su un quadro destinato al mercato, l’episodio sollecita una domanda: come funzionano i comitati scientifici creati con la riforma dei venti musei autonomi firmata dal ministro Dario Franceschini nell’agosto 2014 (ma i comitati sono stati nominati perlopiù tra fine 2015 e inizio 2016)?

I quattro membri di ciascun comitato partecipano a titolo gratuito, vengono nominati dal ministro, dal Consiglio superiore dei Beni culturali, da Regione e Comune. Sulla carta è una bella idea: devono garantire un controllo scientifico e frenare eventuali avventatezze dei singoli al comando. Una ricognizione tra i venti comitati delinea un certo appagamento, ma vi sono anche rotture aperte. In realtà pesa l’incertezza di fondo sui compiti di questi organismi che sono sì autorevoli ma anche soltanto consultivi. E, dietro le quinte, i contrasti non sono rari. 

Luci diverse a Sud
Partiamo dal Sud. Pietro Giovanni Guzzo, già soprintendente a Pompei, autorevolissimo archeologo, si è dimesso dopo pochi mesi dal Museo Archeologico Nazionale di Taranto diretto da Eva Degl’Innocenti. Perché? «La direttrice seguiva i propri programmi senza informare il comitato. Pur essendoci già riuniti non ci aveva neanche comunicato l’inaugurazione della riapertura del museo, informandoci con una lettera a cosa fatta. Un parere su come organizzare l’Archeologico rientrava tra le nostre competenze. Altrimenti a che cosa servivamo?».

Guzzo è anche nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli: «Paolo Giulierini invece manifesta sempre le sue intenzioni, i programmi, pur se con un’informazione abbastanza generica. Discute delle scelte anche se tra una riunione e l’altra talvolta ci si trova davanti a fatti nuovi. Il punto è che la funzione dei comitati non è regolamentata». Dall’Archeologico di Reggio Calabria Maurizio Paoletti, docente di Archeologica classica nell’ateneo cittadino, dichiara soddisfatto: «Carmelo Malacrino ci ha coinvolto. La mancanza di unanimità è fisiologica e anzi trovo che sia positiva. So di qualche direttore che accentra molto ma è una conseguenza del decreto Franceschini. E del carattere di ciascuno».

Dal sito di Paestum allarga il discorso alla riforma dei musei la professoressa di Archeologia nell’università di Salerno Angela Pontrandolfo: «Gabriel Zuchtriegel è disponibile, sulle iniziative che ci presenta è aperto e collaborativo, però altre scelte non passano dal nostro tavolo. Lo snodo è se un direttore deve mirare solo al numero dei visitatori ma anche su quali siano i compiti dei comitati. Per esempio non diamo pareri sulla comunicazione». Docente di Storia dell’arte moderna a Roma Tre, Maria Cristina Terzaghi è più che soddisfatta del Museo di Capodimonte a Napoli: «Ci siamo riuniti moltissime volte, anche in forme non ufficiali, chi è disponibile collabora al nuovo riordino, c’è armonia. Sylvain Bellenger presta ascolto, poi è ovvio che deve decidere lui». 

Scontro «Moderno» di Roma
È a Roma, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna (l’ex Gnam, oggi «La Galleria Nazionale»), che si è registrato un altro scontro clamoroso (cfr. articolo in «Vernissage», p. XX). Fabio Benzi insegna Storia dell’arte contemporanea nell’Università D’Annunzio a Chieti. E nell’ottobre scorso ha scritto una lettera aperta a Franceschini contro il radicale ripensamento del museo: «Ascoltati? Assolutamente no. Nella riunione in cui ci siamo insediati la direttrice Cristiana Collu ha detto di voler rivedere l’allestimento. Ho chiesto esplicitamente di essere informato. Inutile: è arrivato un invito a operazione già finita. Che senso ha un comitato scientifico se non viene nemmeno interpellato su un passaggio così cruciale? E trovo il riallestimento assurdo». Pochi chilometri da lì e alle Gallerie Nazionali di Arte antica Barberini e Corsini affidate a Flaminia Gennari Santori l’aria pare cambiare: «Siamo abbastanza ascoltati e le nostre competenze rispettate, sono piuttosto contenta», riconosce Liliana Barroero, titolare di Storia della critica d’arte a Roma Tre. E alla Galleria Borghese con Anna Coliva? Risponde Francesca Cappelletti, docente di Storia dell’arte moderna all’Università di Ferrara e vicepresidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali: «Ritengo i comitati un’innovazione importante. Io sono anche alle Gallerie Estensi a Modena e Ferrara. L’avvio della riforma è stato abbastanza faticoso e i due comitati funzionano bene. Con la direttrice delle Estensi, Martina Bagnoli, possiamo sentirci o vederci anche in modo informale». 


Il caso unico di Urbino
Alla Galleria Nazionale dell’Umbria, il professore di Storia dell’arte moderna nell’ateneo perugino Francesco Mancini riscontra «un buon clima di collaborazione. Marco Pierini è esperto sia di museografia sia di questioni storico-artistiche, però mi risulta che altri direttori si sentano più amministratori che storici dell’arte, che si occupino più di marketing che di promozione culturale». Dalla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino descrive uno scenario molto particolare il professore emerito di Storia dell’arte moderna nell’Università di Firenze Antonio Pinelli: «Nel comitato c’è Vittorio Sgarbi. Che ha incluso il direttore del museo Peter Aufreiter nel "peggio" di «Il Giornale dell’Arte», con la sua potenza mediatica tende a prevaricarlo. Ha annunciato mostre non ancora decise, specie per i soldi. Il comitato poteva bloccarsi a causa sua, invece va avanti perché procediamo a maggioranza. Nel complesso il mio giudizio è positivo. Mettendo da parte le perplessità sui toni muscolari di Franceschini, pur se con la sua sferzata efficientistica il personale manca, ora si intravede una riforma organica». Pinelli è presente anche a Palazzo Reale a Genova: «La direttrice Serena Bertolucci è sì manager ma anche storica dell’arte, molto energica e coraggiosa, non facile in quel contesto. Fa proposte, ascolta i nostri suggerimenti soprattutto sulle mostre, c’è un’integrazione perfetta tra noi e lei». 


I «distinguo» fiorentini
Alle Gallerie degli Uffizi di Firenze Eike Schmidt ha fama di decisionista. Sappiamo che tiene alla larga dalle decisioni chi, nel museo, non è nel comitato. E chi c’è dentro? Stefano Boeri ha manifestato pubblicamente la sua contrarietà su un progetto determinante: svuotare il Corridoio Vasariano dagli autoritratti. «Sono perplessità venute fuori in un secondo tempo, ricorda Donata Levi, che ha una cattedra in Museologia e critica artistica a Udine. Avevamo parlato di climatizzazione e conservazione, Boeri aveva espresso la preferenza di tenere nel Corridoio i quadri, poi è uscito con un articolo più deciso sull’edizione fiorentina di "la Repubblica". Ma a me sembra che Schmidt accetti i frutti della discussione, anche quando è molto franca. Magari vorremmo un’informazione più pronta». All’Accademia, all’ombra del David, «ho trovato Cecilie Hollberg attenta ai nostri consigli e una buona atmosfera. È un’esperienza positiva», sintetizza Alessandro Tomei, ordinario di Storia dell’arte medioevale a Chieti. A un chilometro di distanza, al Bargello, registra un buon clima anche il professore di Storia dell’arte moderna all’Università Federico II di Napoli Francesco Caglioti: «Paola D’Agostino ci ascolta. Siamo molto affiatati e parliamo anche per via telematica perché due di noi sono all’estero (Davide Gasparotto e Adriano Aymonino, Ndr)». 


Colori sfumati da Torino a Milano
Già direttore dei Beni culturali della Regione Piemonte, da Torino Alberto Vanelli definisce Enrica Pagella, alla guida dei Musei Reali dopo aver diretto per anni il Museo Civico d’Arte antica di Palazzo Madama, «attenta e sensibile alle questioni scientifiche, pronta a raccogliere suggerimenti». Talvolta, ammette, «la difficoltà del comitato sta nel riunirsi in tempo davanti a scadenze vicine. E da ex direttore del Consorzio di Venaria vedo un problema strutturale, non legato alla direttrice: c’è scarsa attenzione ai servizi verso il pubblico, la comunicazione è ancora molto ministeriale. Mi piacerebbe discuterne ma non ci sono né soldi né personale a disposizione». La critica d’arte e docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna Beatrice Buscaroli descrive Peter Assmann a Palazzo Ducale a Mantova come «molto gentile, portato ai rapporti umani e all’ascolto. Il problema vero è che sono stati spiegati male i ruoli, i confini, dei comitati, dei direttori, dei cda. Altrove so di litigi ma dipende dai caratteri individuali. Credo anche che la riforma manchi nella comunicazione».


Infine dalla cattedra di Storia dell’arte moderna nell’ateneo milanese Giovanni Agosti risponde via mail in punta di diplomazia alla nostra collega Ada Masoero sulla Pinacoteca di Brera: «I comitati scientifici possono essere importanti se se ne definiscono i compiti e i limiti, le responsabilità e i doveri. Diventano maggiormente utili in contesti in cui i direttori non sono degli storici dell’arte e dove il personale scientifico dei musei è in crisi. Oggi la situazione mi appare un po’ confusa». Il Consiglio regionale veneto ha nominato il proprio rappresentante nel comitato delle Gallerie dell’Accademia di Venezia soltanto nel marzo scorso, in clamoroso ritardo (è Chiara Casarin, direttrice dei Musei Civici di Bassano del Grappa). Riccardo Calimani, veneziano, scrittore e affermato storico dell’Ebraismo che per otto anni ha presieduto il Museo nazionale dell’ebraismo e della Shoah di Ferrara, fa il punto: «Ci siamo incontrati in via preliminare e c’era anche Vittorio Sgarbi che è stato molto affabile. La direttrice Paola Marini ha sottolineato le forti carenze di personale ma, giustamente, ha aspettato che la rosa dei nomi sia completa per iniziare a pieno titolo. La prima vera riunione avrà luogo a maggio». «Da quanto so, corona il quadro il presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali Giuliano Volpe e docente di Archeologia a Foggia, c’è chi si avvale dei comitati, chi meno. Auspico che possano svolgere una funzione più importante. E anche questi rapporti dovranno servire per valutare come hanno lavorato i direttori».

Redazione GDA, 05 maggio 2017 | © Riproduzione riservata

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