Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliGira in rete un piccolo video che dovrebbe invogliare il pubblico a visitare Bergamo e Brescia, le attuali nostrane città nel ruolo di Capitale della Cultura 2023. In sintesi, racconta di un quarantenne mammone tiranneggiato dalla genitrice, che dopo alcuni tentativi finalmente buca la bolla di sapone che lo imprigionava e scopre le bellezze delle due città.
Vari aspetti mi colpiscono: è intitolato «Siamo Capitale italiana della Cultura 2023!», per scoprire la quale occorre, appunto, «uscire dalla bolla», ed è girato come uno spot pubblicitario di dieci o forse vent’anni fa. Da utente minimo, non posso non chiedermi se tutti i virgulti bresciani e bergamaschi siano coglioni come questo qui: bazzico entrambe le città da decenni e non mi sembrava proprio, ma forse quello cui danno del coglione è lo straniero cui è rivolto il messaggio, non so.
Il video è lento, impostato ed educato, ed è retto da una musichetta che grida vendetta, che pare la colonna sonora di un film erotichello di quelli celebrati da Marco Giusti, e da un testo letteralmente imbarazzante. In realtà, fa di tutto per toglierti la voglia di andarci, nella doppia capitale della cultura. Alla fine, per non farci mancare niente, scorre una sfilza di ringraziamenti neanche fosse «Schindler’s List» di Spielberg, al punto che non sei nemmeno a metà e ti viene il dubbio che stiano ringraziando tutti gli abitanti delle due città.
Per fortuna, fuori dalla «bolla» in cui erano compresse, e non per scherzo, le modeste qualità degli autori, esiste il mondo vero, non quello che in tempi recenti era stato incarnato da prove comunicative a loro modo sublimi come «VeryBello!» e «ItsArt» di franceschiniana memoria: proprio quello vero, che non ha paludamenti perché non ne ha bisogno, e neppure il bisogno di essere fintamente friendly con nessuno, committenti compresi.
E dunque, eccoci qui con la sensazione netta di qualcosa che è ben più che un’occasione persa: qui si racconta un’Italia inamabile, prigioniera di stereotipi, dai cui tinelli emana un aroma stantio. Facciamo così. La prossima volta, che siano loro a uscire dalla «bolla» prima di mettersi all’opera.
Noi, in nome di bresciani e bergamaschi contemporanei come Arturo Benedetti Michelangeli, Daniele e Cesare Lievi, Gianluigi Trovesi, e di antenati come Ambrogio Calepio, Giambattista e Maffeo Suardi, Angelo Mai, Giacomo Carrara, giusto per non citare la solita bordata di pittori immensi, nella «bolla» non siamo mai entrati.
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