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Munari poliedrico e leonardesco

Dal 16 febbraio all’11 giugno, il Museo Ettore Fico presenta una retrospettiva di Bruno Munari (1907-98), artista, designer, grafico e pedagogo

Sono esposti dipinti, disegni, collage, oggetti di design e progetti vari degli anni Trenta-Novanta. Dalle pitture astratte degli esordi al ciclo «Negativi-positivi» degli anni Cinquanta, dalle sperimentazioni plastiche e cinetiche del decennio successivo a mobili, libri, tessuti e produzioni di arti applicate, l’unico filo conduttore è una vulcanica creatività tesa all’idea di opera d’arte totale, espressione di una natura ludica, ironica e comunicativa, agli antipodi dell’individualismo contemporaneo. Ne parla Claudio Cerritelli, docente di storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Brera, curatore della mostra e autore del catalogo che contiene, tra l’altro, un’intervista a Gillo Dorfles.

Com’è nata l’idea della mostra e perché adesso?
L’idea della mostra è del tutto autonoma rispetto al rituale degli omaggi che certamente verranno programmati nel 2018 per il ventennale della scomparsa di Munari. È un progetto promosso dal direttore del Museo Ettore Fico Andrea Busto e coordinato da Carlo Repetto, titolare della Repetto Gallery di Londra. Dal mio punto di vista è un’occasione per rinnovare la conoscenza dell’artista attraverso le diverse diramazioni della sua ricerca. Il titolo che ho scelto, «Bruno Munari artista totale», indica la dimensione plurilinguistica del suo progetto comunicativo basato sul rigore del metodo e il respiro della fantasia, con un senso di apertura dinamica della ricerca, posta sempre in relazione con le possibilità di partecipazione dello spettatore. Già negli anni Cinquanta questa chiave di lettura era indicata per paragonare, con le dovute e differenti proporzioni, l’enciclopedica e fantasiosa attività di Munari alla figura di Leonardo. Certo è che la dimensione permutativa dei linguaggi è un aspetto inconfondibile del suo modo di comunicare in senso globale le poliedriche forme della sua sperimentazione. Nell’intervista pubblicata in catalogo, Gillo Dorfles sottolinea l’unicità di Munari nella storia contemporanea dell’arte, soprattutto per l’aspetto ironico e giocoso delle sue operazioni, di cui questa mostra volutamente tiene conto.

In che modo ha sintetizzato i molteplici aspetti della creatività di Munari senza ricorrere alla classificazione di correnti e stili?
Se si considera che a Munari è sempre andato stretto qualunque ambito specialistico, la mostra pone in evidenza la trasversalità rispetto a questo o a quel tipo di arte, di stile, di tendenza. La sintesi possibile sta nel mostrare la complessità nell’unità delle mutazioni disseminate nella totalità dei suoi interessi.

Com’è articolato il percorso? Segue un ordine tematico o cronologico?
Il percorso oscilla tra momenti diacronici e tagli sincronici che mi sembrano più appropriati per favorire una lettura non strettamente storicistica. Del resto, credo che non esista un metodo espositivo univoco per seguire le mosse di questo atipico inventore di forme comunicative che s’intrecciano e si sovrappongono disorientando le attese del pubblico attraverso il continuo spostamento delle soglie di lettura. In una recente conferenza tenuta al Museo dei Bambini di Milano, Alberto Munari, psicologo ed epistemologo, ha ribadito che una delle intenzioni fondamentali di suo padre è stata quella di promuovere l’acquisizione della consapevolezza dell’esistenza di un universo di scelte possibili, il che comporta un senso di apertura verso interpretazioni diverse dello stesso fenomeno: cercare di osservare le cose sempre in un altro modo rispetto a quello già sperimentato.

Quante e quali sono le opere esposte e da dove provengono? Ci sono anche produzioni postume?
Sono esposte oltre trecento opere provenienti da due cospicui nuclei collezionistici su cui si innestano opere di altre collezioni e fondazioni private, con scelte funzionali alla documentazione dell’ampio panorama operativo di Munari. Sono presenti anche opere con doppia datazione, ma sempre relative ai periodi operativi dell’artista e rispondenti alle sue scelte.

Qual è stato il rapporto di Munari con le avanguardie e le tecnologie?
La visione di Munari ha radici futuriste.Tuttavia la sua interpretazione del mito della macchina ha un orientamento del tutto diverso, basato per esempio sull’ironica identità delle macchine inutili. La successiva partecipazione al Movimento Arte Concreta e la sua influenza sulle esperienze dell’Arte programmata dimostrano il suo originale contributo al rinnovamento dei linguaggi. Per quanto riguarda il rapporto con le tecnologie, l’atteggiamento di Munari non è mai passivo; si tratta sempre di un problema d’uso, infatti i nuovi mezzi tecnici gli suggeriscono un campo di possibilità che vanno oltre gli attributi tecnologici, rivelando aspetti non prevedibili.

Munari rivolgeva particolare attenzione all’aspetto ludico e didattico dell’arte. Come sono stati sviluppati questi aspetti nella mostra?
Durante il periodo della mostra sono programmati laboratori didattici con le scuole, nonché visite guidate e conferenze come momenti di dialogo con il pubblico.

Esistono opere, artisti o attitudini nell’arte contemporanea in cui riscontra l'influenza di Munari?
Credo che gli esempi siano molteplici. Per esserne stato testimone diretto ricordo il rapporto dell’artista Paolo Minoli con Munari, soprattutto per l’attitudine a tradurre modelli percettivi scientifici in orizzonti immaginativi.

Qual è l’attenzione del mercato nei confronti di Munari?
Dagli ultimi esiti sembra che le opere di Munari siano destinate a entrare nelle grazie del mercato dell’arte, ma è un aspetto per me non misurabile. Preferisco ripensare al fatto che Munari considerava il mercato come ripetizione di un standard vendibile, esattamente l’opposto della sua idea di arte come ricerca conoscitiva e comunicativa utile a tutti.

Jenny Dogliani, 11 febbraio 2017 | © Riproduzione riservata

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