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Migranti, rifugiati e personale del Musée d’Orsay a Parigi durante il progetto «Mahatta» © Musée d’Orsay/Foto di Sophie Crepy Boegly

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Migranti, rifugiati e personale del Musée d’Orsay a Parigi durante il progetto «Mahatta» © Musée d’Orsay/Foto di Sophie Crepy Boegly

Migranti, diventate le guide dei migranti

In Francia cresce il dialogo tra associazioni e musei: il d’Orsay per primo progetta l’inserimento professionale dei rifugiati. Un «passaporto culturale» per aprire loro i luoghi della cultura

Luana De Micco

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L’integrazione dei rifugiati passa per i musei. In Francia qualcuno ci sta provando. Al Musée d’Orsay è nata un’iniziativa, battezzata Mahatta («stazione» in arabo), per favorire l’integrazione sociale e l’inserzione professionale dei rifugiati. Dallo scorso ottobre, e fino a giugno, il museo parigino, insieme al Musée de l’Orangerie, propone un ciclo di visite delle sue collezioni e di formazioni per preparare dei rifugiati al lavoro di mediatori culturali e guide turistiche nei musei, da svolgere nella loro lingua materna, a favore di altri rifugiati. Il primo gruppo è composto da 12 persone. Sono sudanesi, iracheni, iraniani, afghani, arrivati in Francia di recente, dopo un lungo cammino di esilio, spesso attraverso l’Italia. «Sono persone che hanno già il gusto dell’arte e un livello di studio elevato, ingegneri, avvocati, insegnanti. Alcuni hanno già fatto degli studi d’arte. C’è anche una giovane donna siriana che prima della guerra lavorava al Museo di Aleppo come restauratrice», ci spiega Françoise Chatillon, responsabile del Dipartimento della programmazione culturale al Musée de l’Orangerie. Le formazioni sono portate avanti da guide diplomate che lavorano nei musei nazionali. «Non possiamo dare alcuna garanzia di assunzione, aggiunge tuttavia Françoise Chatillon, ma forniamo loro le chiavi per aiutare anche altri rifugiati nel processo d’integrazione». L’iniziativa è nata da un partenariato con Singa France, un’associazione creata nel 2012 per favorire l’incontro e lo scambio tra rifugiati e società ospitante e che da allora si è esportata in Germania, Svizzera, Belgio e più di recente anche in Gran Bretagna e in Italia, a Milano: «Partiamo dal principio che la sola differenza tra cittadino residente e migrante appena arrivato è il “capitale sociale”. La barriera della lingua e dei codici socioculturali e l’assenza di relazioni personali sono i principali ostacoli all’integrazione. Noi offriamo gli strumenti per favorire l’incontro tra persone che condividono le stesse passioni e quindi la costituzione di reti sociali», spiega David Robert, ex giornalista e ora vicedirettore di Singa France.

Accesso alla cultura e democratizzazione
Per Mahatta, David Robert e gli altri di Singa si sono ispirati a un progetto simile, dal nome «Multaka» («punto di incontro»), realizzato nei musei di Berlino nel 2016 su iniziativa della Stiftung Preußischer Kulturbesitz, la Fondazione del patrimonio culturale prussiano. Il Pergamonmuseum (dov’è conservata la porta babilonese di Ishtar proviente dell’Iraq), il Deutsches Historisches Museum e il Museum für Islamische Kunst hanno formato 19 rifugiati siriani e iracheni, alcuni dei quali studenti o già diplomati in Storia dell’arte nei loro Paesi d’origine, come guide per effettuare visite dei musei in lingua araba. «Per la nostra democrazia abbiamo bisogno di persone in possesso di una buona stima di sé, condizione essenziale per poter avere anche stima degli altri», aveva detto all’epoca Stefen Weber, direttore del Museo di arti islamiche. In Francia la collaborazione con i musei d’Orsay e de l’Orangerie sta andando così bene che Singa France vuole andare più in là: «Dal successo di Mahatta è nata Sama Culture, una struttura autonoma con finalità più ambiziose per creare cicli di formazione per guide turistiche in collaborazione con altri musei. Nel giro di qualche anno vorremo coinvolgere il Louvre, il quai Branly, il Centre Pompidou», spiega Souad Nanaa, responsabile del progetto Mahatta e Sama Culture. «È un’iniziativa che ha un impatto molto forte, ha aggiunto David Robert, anche perché in Francia i musei hanno una grande forza simbolica, oltre a rappresentare spesso anche un certo elitismo parigino. Il d’Orsay è stato il primo museo a mostrarsi interessato, ad attivarsi e a investire, poiché finanzia la totalità delle formazioni del progetto. Hanno realizzato anche loro che è assurdo, in un Paese come la Francia in cui la seconda lingua più parlata è l’arabo, che i musei non propongano ancora visite guidate in arabo». «Penso che i musei abbiano un ruolo essenziale nell’integrazione dei pubblici, ha detto Helen Lamotte, responsabile delle iniziative per pubblici specifici al d’Orsay e all’Orangerie. Le questioni della democratizzazione culturale e dell’accesso alla cultura per tutti sono sempre state al centro delle nostre preoccupazioni».

Un «passaporto culturale» per ogni migrante
Ci siamo chiesti se un’iniziativa come quella del direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, con ingressi gratuiti per i visitatori in lingua araba, lanciata lo scorso dicembre (cfr. lo scorso numero, p. 1), sarebbe possibile in un museo di Francia. Forse no. O comunque non negli stessi termini. La legge detta «informatica e libertà» del 1978 vieta in Francia di raccogliere e registrare i dati legati all’identità etnica (e quindi anche religiosa) delle persone. Iniziative che tendono a creare delle categorie etniche, o rischiano di essere manipolate in questo senso (come è successo in Italia nel caso della polemica lanciata a gennaio contro il museo torinese dalla presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, in piena campagna elettorale), vengono dunque evitate. A Parigi, ad esempio, l’estate scorsa è stato annullato il festival Nyansapo, una serie di conferenze e dibattiti sul tema dell’antirazzismo, ma destinato esclusivamente a donne afro femministe. La cosa aveva fatto reagire alcune Ong come SOS Racisme che ha accusato gli organizzatori di operare sulla base di «separazioni etniche». Ciò non toglie che vengano assunte molte iniziative in favore dei rifugiati, alcune anche da diverso tempo. Da alcuni anni ormai per esempio alcuni musei francesi, come il d’Orsay e il Louvre, ma anche i musei comunali di Parigi e il MuCem di Marsiglia, sono gratuiti per rifugiati e richiedenti asilo su presentazione di un giustificativo (come si fa già per altre categorie di pubblici: minori di 26 anni, disoccupati, portatori di handicap, insegnanti e così via). Un gruppo di istituzioni culturali, tra cui anche il Centre Pompidou, il quai Branly e il Centre des Monuments Nationaux, ha elaborato nel 2009 una Carta per l’accoglienza del pubblico detto «del settore sociale», persone cioè che si trovano in situazione di esclusione sociale ed economica. Queste istituzioni collaborano regolarmente con associazioni e Ong per aprire le loro porte a chi ne è escluso ed emettono ticket di ingresso gratuiti da destinare loro.

Il 17 gennaio scorso la ministra francese della Cultura, Françoise Nyssen, in un discorso alla Cité des Congrès di Nantes, ha lanciato un appello al mondo della cultura per agire in favore dei migranti: «Offriamo ai migranti un’accoglienza degna di questo nome, ha detto. Il mondo culturale ha il dovere di agire. Lo chiedo a ognuno di voi e di farlo non per buonismo, ma per umanità e per senso di responsabilità». La ministra rispondeva a una lettera aperta pubblicata dal quotidiano «Le Monde» nel settembre 2017 e firmata da diverse personalità del mondo della cultura, con la quale un collettivo di artisti chiedeva di andare oltre e creare un «passaporto culturale» da distribuire a ogni migrante. Un passaporto gratuito per tutti i luoghi di cultura e del patrimonio in Francia, non solo i musei, ma anche i teatri, le biblioteche e le sale di spettacoli. Nel frattempo è nato a Parigi l’Atelier des artistes en exil, un’associazione che conta per ora una cinquantina di artisti rifugiati, siriani, sudanesi, afghani, iracheni, che fino al 15 giugno espongono i loro lavori nelle gallerie del Palais Royal, al Ministero della Cultura, che sostiene l’iniziativa. Diverse associazioni umanitarie, comme Emmaüs Solidarité, organizzano visite di gruppo nei musei. Anche la reggia di Versailles ha accolto gratuitamente lo scorso febbraio i numerosi migranti del centro di accoglienza d’urgenza di Saint-Ouen-l’Aumône, un Comune della regione parigina, su iniziativa del Secours populaire. Mentre al Musée de l’histoire de l’immigration della Porte Dorée, sempre a Parigi, ogni visitatore con una storia di migrazione può donare al museo oggetti e fotografie che raccontano il suo percorso e che sono poi allestiti nella «galleria dei doni».

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Luana De Micco, 27 aprile 2018 | © Riproduzione riservata

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