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Nicola Ricciardi © Paolo Ventini

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Nicola Ricciardi © Paolo Ventini

Miart in tre sezioni

151 gallerie da 20 Paesi divise in storico, moderno e contemporaneo, ma anche musica, danza e teatro alla 26ma edizione

Michela Moro

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Ventiseiesima Miart, seconda diretta da Nicola Ricciardi: 151 gallerie da 20 Paesi, dai capolavori del Novecento alle ultime generazioni di artisti contemporanei, al designd’autore. Tre le sezioni: Established, con le gallerie di contemporaneo assieme a quelle dedicate all’arte del XX secolo e al designda collezione e d’autore; Decades, a cura di Alberto Salvadori, esplora la storia del secolo scorso attraverso progetti monografici dagli anni 1910 agli anni 2010; Emergent, a cura di Attilia Fattori Franchini, dedicata alle giovani gallerie. Una serie di iniziative e collaborazioni sono state attivate da Miart con partner e istituzioni appartenenti al mondo della musica, della danza e del teatro. Tra questi l’inedito progetto «OutPut», a cura di Davide Giannella: un ciclo dedicato alla performance nello spazio pubblico con l’artista Riccardo Benassi e il coreografo Michele Rizzo. O ancora «FOG Triennale Milano Performig Art»: il festival di arti performative di Triennale Milano presenta la lecture-performance Dying On stage del cipriota Christodoulos Panayiotou (sabato 2 aprile) e, in prima assoluta per Milano, il nuovo lavoro di Romeo Castellucci filmato da Yuri Ancarani (domenica 3 aprile). A fare il punto sulla fiera, il direttore Nicola Ricciardi.

Prima pandemia, poi guerra. Cambia l’approccio in questi frangenti, anche quando l’organizzazione parte da lontano?
Dopo l’edizione del 2021, che si era tenuta eccezionalmente a settembre per via della situazione sanitaria, tutta la squadra di Miart e Fiera Milano è stata ferma nell’idea di ricollocarci ad aprile, come da tradizione. Il conflitto russo-ucraino non ha cambiato questa decisione, anche per l’obbligo che abbiamo preso con le gallerie: ovvero quello di costruire una fiera che sia prima di tutto un’opportunità concreta per loro e per far ripartire un sistema dell’arte inevitabilmente colpito dall’urto della pandemia. C’è un gran bisogno di tornare alla normalità anche in termini di calendario e di ritmo degli impegni per agevolare una ripresa credibile e duratura.

Una novità è l’assetto delle sezioni, solo tre. Come mai? Le case d’asta, ad esempio, nel tempo hanno ulteriormente diviso le epoche.
L’edizione 2021 di Miart ha dimostrato che un più stretto dialogo tra moderno e contemporaneo è in grado di generare mutui benefici. Abbiamo quindi deciso di fondere le due sezioni Established Masters ed Established Contemporary per favorire una maggiore permeabilità, stimolando le gallerie a immaginare proposte espositive sempre più di qualità e incentivando i dialoghi e le riscoperte. Ricondurre le sezioni a tre, Established, Emergent e Decades, serve anche a presentare una distribuzione degli spazi più chiara, leggibile e incentivante per il movimento dei visitatori.

Quali sono le gallerie che tornano e che partecipano per la prima volta?
Siamo estremamente felici di vedere tornare dopo due anni Alfonso Artiaco e Gian Enzo Sperone, di cui ho immensa stima. Tra i grandi ritorni internazionali, mi fa piacere segnalare ChertLüdde, Andrew Kreps, KÖNIG, Mai 36 e Meyer Riegger, di cui avevamo molto sentito la mancanza nel 2021. Infine, tra i newcomers sono particolarmente contento di poter contare su due bellissime realtà come la berlinese KLEMM’S e la galleria di Tokyo Misako & Rosen.

A parte qualche presenza ricorrente, le gallerie giovani cambiano di anno in anno. Dopo una stagione sono già established o è per offrire un panorama diverso?
Per offrire un panorama sempre diverso e in grado di stimolare la curiosità di collezionisti e visitatori. Quest’anno Emergent verrà posta per la prima volta all’inizio del progetto espositivo, per garantire la più ampia visibilità possibile. Avremo anche nuovi premi dedicati, che dimostrano l’interesse sempre più crescente per le giovani realtà. Il merito è di Attilia Fattori Franchini, curatrice della sezione e che ne ha fatto un laboratorio di ricerca e valorizzazione di artisti emergenti.

La sezione Decades include artisti meno popolari del solito tra il pubblico milanese, come Rainer, Ferroni e Bertini.
Trovo sempre molto bella e puntuale la sezione curata da Alberto Salvadori, perché ben rappresenta l’ideale di raccogliere sotto lo stesso tetto oltre cento anni di storia, uno degli aspetti che rende unica Miart. Alberto l’ha concepita come un viaggio nel tempo attraverso i decenni da inizio Novecento al 2010 e come in ogni viaggio non possono mancare le sorprese.

Miart secondo anno, che cosa è cambiato nel rapporto con la città e i suoi collezionisti?
Il rapporto con la città si è molto rafforzato, anche grazie all’ottimo dialogo con l’Assessore alla Cultura del Comune, Tommaso Sacchi, con il quale abbiamo costruito una ricchissima edizione di Milano Art Week. È un’occasione più unica che rara inaugurare una fiera in concomitanza con gli opening delle più importanti mostre della stagione. Per quanto riguarda i collezionisti poi, sono sempre stati il nostro punto di partenza. Per questo motivo siamo molto felici di aver convinto a unirsi a noi come VIP Manager Cristina Raviolo, già VIP Relations di Frieze a Londra. La sua esperienza decennale e internazionale si sta già dimostrando fondamentale.

Come è avvenuto il passaggio da fiera «commerciale» a «produttore»? È un’addizione o uno spostamento verso un assetto diverso?
Sono convinto che la fiera d’arte ideale debba anche essere un’occasione per generare contenuti inediti. Quest’anno per la prima volta siamo riusciti a dar vita a un progetto d’arte performativa originale ed esplicitamente pensato per la fruizione pubblica: si chiama OutPut e nasce da un’intuizione di Davide Giannella che curerà un ciclo di performance durante la fiera con protagonisti Riccardo Benassi e Michele Rizzo, supportato dalla Fondazione Marcelo Burlon, un partner generoso e lungimirante.

Il «primo movimento» della grafica di Miart riassume visivamente il «sentiment» della fiera.
L’idea di primo movimento ha giocato un ruolo centrale nello sviluppo della nuova identità grafica di Miart, affidata a Cabinet Milano e realizzata dalla fotografa e coreografa tedesca Isabelle Wenzel, che ha fotografato se stessa in una serie di posizioni aerobiche. Lo stesso concetto è stato al centro di una serie d’iniziative e collaborazioni attivate da Miart con partner e istituzioni appartenenti al mondo della musica, della danza e del teatro. Come FOG, il festival di arti performative che presenterà una lecture-performance del cipriota Christodoulos Panayiotou e l’attesa prima assoluta di Milano, il nuovo lavoro di Romeo Castellucci filmato da Yuri Ancarani.

Nicola Ricciardi © Paolo Ventini

Michela Moro, 01 aprile 2022 | © Riproduzione riservata

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