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Mia nonna Dorothea

Olga Scotto di Vettimo

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Dyanna Taylor, nipote di Dorothea Lange e regista del documentario «Dorothea Lange: Grab A Hunk of Lightning», così restituisce gli insegnamenti della nonna: «Le sue fotografie rivelano i soggetti in maniera diretta, senza artifici. Il suo senso di bellezza nella verità inalterata è semplice ma potente. Le parole di Dorothea sono parte di me. "Vedi cosa è veramente lì. Guardalo. Guardalo” Questo il dono che mi ha fatto»

Tale monito introduce alla doppia retrospettiva sulla Lange (Hoboken, New Jersey, 1895-San Francisco 1965), pioniera della fotografia documentaristica e di denuncia sociale: allo Studio Trisorio a Napoli fino al 15 settembre «A visual life», con circa 30 fotografie scattate fra il 1930 e il 1940, e al Castello di Postignano (Sellano, Perugia) fino al 9 gennaio 2017 «The camera is a great teacher», a cura di Gennaro Matacena e Matteo Scaramella.

Nota per «Migrant Mother» (1936), in cui sintetizza la crisi degli States attraverso la rassegnazione di una madre circondata dai figli, la Lange ha saputo raccontare uno spaccato dell’America provata dal disagio sociale e dalla Grande Depressione. Per la Farm Security Administration documenta la povertà degli agricoltori, la migrazione di intere famiglie, l’abbandono delle campagne a causa della desertificazione provocata dalle tempeste di sabbia. Il dolore dei soggetti non è mai tradotto in commiserazione, ma è sintesi di umanità e sofferenza, fierezza e dignità, nonostante gli eventi. Sposato Taylor nel 1935, la Lange realizza con lui American Exodus, libro che documenta l’esodo di più di 300mila immigrati in California alla ricerca di lavori agricoli; nel 1942 su commissione della Wra fotografa la deportazione forzata dei nippo-americani; mentre negli anni Cinquanta realizza servizi per «Life» e partecipa al progetto «The Family of Man» curato da Edward Steichen, direttore del dipartimento di fotografia del MoMA

Olga Scotto di Vettimo, 15 luglio 2016 | © Riproduzione riservata

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