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Una veduta della scorsa edizione di Arte Fiera

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Una veduta della scorsa edizione di Arte Fiera

Meno artisti per crescere in bellezza

L'Arte Fiera di Simone Menegoi si rinnova: avrà due sezioni, circa 150 gallerie con un massimo di sei artisti per stand

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Jenny Dogliani

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Tra le fiere di arte moderna e contemporanea, in Italia, è la prima (per nascita). Nel mondo, anagraficamente, è la terza, dopo Art Cologne (1967) e Art Basel (1970). Fondata nel 1974, Arte Fiera è rimasta un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli anni Settanta, Ottanta e Novanta e inizio Duemila. Poi le fiere di settore hanno iniziato a moltiplicarsi in ogni angolo del globo e i collezionisti a muoversi sempre di più. Internet ha accorciato tempi e distanze rendendo tutto a portata di mano.

Sono arrivati la crisi economica, il boom delle case d’asta e la crescita dei due competitor italiani, Artissima e Miart, che negli anni, ciascuna con le sue peculiarità, hanno conquistato e fidelizzato una solida fetta di mercato. Silvia Evangelisti, direttrice dal 2004 di varie edizioni di successo, lascia nel 2012: ai vertici di BolognaFiere non piace l’idea di ridurre il numero di gallerie per aumentare la qualità delle proposte (cfr. Il Giornale dell’Arte n. 320, mag. ’12, p. 71). Con Giorgio Verzotti e Claudio Spadoni (direttori dal 2013 al 2016) la trasformazione del mercato tradizionale si traduce in un calo progressivo (in termine di vendite e defezione di gallerie e collezionisti).

L’arte italiana del Novecento cresce nel mercato mondiale, ma a comprarla sono soprattutto i collezionisti stranieri, che a Bologna scarseggiano. Nel 2017 e nel 2018 è il turno di Angela Vettese che, visti anche i grandi successi delle Italian sales, punta molto sul moderno italiano. Non è una scelta nazionalista, è il mercato. Affermarsi con una propria identità (unica e diversa da tutto il resto) è fondamentale, ma ci vuole tempo. L’esperimento viene interrotto. Angela Vettese lascia una fiera «più snella, più colta e con i conti a posto», scriverà su Facebook. Ecco, a grandi linee, la situazione ereditata da Simone Menegoi, chiamato a rinvigorire le sorti e le vendite della fiera in un momento in cui, va detto, è il mercato del moderno a trainare quello del contemporaneo (è stato così nell’ultima edizione di Miart e persino, in una certa misura, in quella di Artissima).

La sua ricetta in parte fa tesoro dell’esperienza di chi l’ha preceduto e in parte guarda oltre: «Con l’edizione 2019, intraprendiamo un percorso di rinnovamento su tutti i fronti, dall’immagine grafica al Public program. Arte Fiera fa della propria italianità un punto di forza, con uno standard di qualità internazionale che sfrutta la propria forza sul moderno e l’arte postbellica, ma guarda alle tendenze contemporanee», dichiara Menegoi.

Il neodirettore ha in mente una fiera curata, con tante piccole mostre che permettano approfondimenti e ricerche. Per aumentare la qualità della fiera, senza impoverire il parterre di gallerie, diminuisce il numero di artisti. Un terzo dei circa 150 espositori (quasi tutti italiani) parteciperà con allestimenti monografici di artisti storicizzati o emergenti.

Nella Main Section (il cui comitato di selezione è composto da Stefano Cortesi, Massimo Di Carlo, Fabrizio Padovani, Federica Schiavo e Laura Trisorio) confluiscono primo Novecento, arte del dopoguerra e ricerche attuali (alle quali l’idea è di dare crescente spazio e attenzione). A sé la sezione Fotografia e immagini in movimento, coordinata dalla piattaforma curatoriale Fantom.

«Le gallerie, spiega Menegoi, sono invitate a presentare un numero limitato di artisti: un massimo di tre per gli stand piccoli e medi e di sei per gli stand più grandi. Questa regola, pressoché inedita, vale per tutti gli espositori. Vogliamo incoraggiare stand in cui ogni artista abbia modo di emergere grazie a un percorso di più opere. Abbiamo proposto un incentivo per chi presenta stand monografici, considerandolo un gesto qualificante per la galleria e per la fiera. Il risultato è incoraggiante: una cinquantina di gallerie, circa un terzo del totale, porteranno personali. Ci sarà una sola sezione speciale, quella di fotografia, ma completamente rinnovata: includerà il video (è stata ribattezzata «Fotografia e immagine in movimento») ed è affidata alla piattaforma curatoriale Fantom (Selva Barni, Ilaria Speri, Massimo Torrigiani, Francesco Zanot). In futuro c’è la volontà di aumentare le sezioni curate, che a mio parere costituiscono uno degli elementi di riconoscibilità di una fiera. Per quanto riguarda il programma di eventi avremo una serie di performance proposta dalla bolognese Silvia Fanti, fondatrice dell’associazione Xing; una mostra di opere dalle collezioni istituzionali, pubbliche e private di Bologna e dell’Emilia-Romagna curata da Davide Ferri (parte di un ciclo triennale intitolato «Courtesy Emilia-Romagna») e un programma di talk e interviste affidato a “Flash Art”».

Se Arte Fiera non potrà  tornare a essere la protagonista indiscussa di un mondo che del resto non esiste più, può recuperare a pieno titolo un proprio ruolo e una propria individualità  nella scena internazionale. In Italia in parte lo ha già, per tutta una parte di pubblico e di collezionisti che vanno incoraggiati. Il mercato del contemporaneo (ad alti livelli) secondo autorevoli osservatori mostrerebbe già i primi sintomi di stanchezza, dopo un decennio a ritmi folli. Anche per questo Bologna potrebbe avere le carte in regola per proporre un modello diverso di mercato. In fondo è la ragione per cui tutti facciamo il tifo per lei.

Una veduta della scorsa edizione di Arte Fiera

Jenny Dogliani, 29 gennaio 2019 | © Riproduzione riservata

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