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Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«Era il 1972 quando un giovane artista di Rotondi, della vicina Valle Caudina, installava una sua personale, una delle prime, nella galleria d’arte Studio Oggetto di Caserta. Il titolo era “Mangiate Mainolfi VIII” e lui era proprio Luigi Mainolfi, l’ottavo a portare quel nome e cognome a Rotondi. L’anno dopo sarebbe partito per Torino e da lì avrebbe proseguito una sua eccezionale carriera», racconta Enzo Battarra, assessore alla Cultura del Comune di Caserta, introducendo la personale di Luigi Mainolfi.
«Terra del fuoco (la forma della pittura, il colore della scultura V)» è, pertanto, per l'artista un ritorno a Caserta; cinquant’anni dopo, i suoi lavori sono esposti (fino al 6 febbraio) alla Galleria Nicola Pedana. Mainolfi lavora le superfici, assecondando la vocazione stessa della materia utilizzata, levigata (bronzo) o porosa (terracotta).
La scultura è intesa come corpo organico, elemento di interazione con lo spazio, al pari della pittura, che si trasforma come una quadreria rossa di terrecotte e tele su cui l’artista accoglie il colore e i frammenti dell’argilla cotta per stabilire un dialogo stimolante tra pittura e scultura, che a vicenda si esaltano.
In occasione di questo nuovo approfondimento proposto da Mainolfi (con il sottotitolo «la forma della pittura, il colore della scultura»), il bestiario plastico immaginario e la cromia materica dei dipinti si confondono in un unico pensiero che è pittorico e scultoreo al tempo stesso.

«Terra del fuoco», 2021, di Luigi Mainolfi
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