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Libia nel caos, sciacalli scatenati

Gli esperti avvertono che molti reperti scavati illegalmente stanno uscendo dal Paese

Tim Cornwell

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Mentre il caos politico travolge la Libia, fuori dal Paese i reperti antichi spuntano come funghi. Una delle aree più colpite è la regione costiera orientale, ricca di tesori archeologici da siti come l’antica città greco-romana di Cirene. Specialisti internazionali e libici sostengono che qui gli scavi illeciti procedono indisturbati.

Durante una visita a Londra lo scorso settembre, l’archeologo libico Ramadan Shebani, ex curatore del Museo Archeologico di Tripoli (il Castello Rosso o Assaraya Alhamra), il museo nazionale libico che copre 5mila anni di storia, ci ha dichiarato che lui e i suoi colleghi sono impotenti di fronte ai saccheggi, nel vuoto politico creato dalla deposizione di Muhammar Gheddafi nel 2011. La loro preoccupazione va principalmente agli scavi illeciti nei dintorni dell’antica città greca e poi romana di Cirene, vicino all’odierna cittadina di Shahat nella Libia orientale, una delle prime zone a essere controllate dai ribelli.

La situazione è aggravata dalla costruzione di nuove residenze in questa regione, dal momento che nel Paese devastato dalla guerra in molti cercano disperatamente un’abitazione. «Il problema è semplicemente che la gente va in giro e scava sperando di trovare qualcosa. Non è possibile arginare una pratica del genere, perché chiunque può scavare sotto casa propria o nel deserto», dice Shebani, aggiungendo che gli archeologi hanno cercato di dialogare con le autorità locali per controllare la situazione.

Saccheggi su ordinazione? Almeno otto reperti libici sono stati identificati in Europa al momento di essere venduti. A gennaio, le autorità sono state allertate su tre statue in marmo a Berna, Svizzera, che si sospettava provenissero da Cirene. Prima di questo episodio, altri quattro pezzi erano stati identificati a Parigi e uno a Londra. Altri manufatti saccheggiati sono venduti online. «Ci sono annunci per la vendita e l’acquisto di statue e antichità libici», afferma Shebani.

A Parigi, lo storico e ricercatore francese Morgan Belzic, dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes, monitora i cataloghi di aste, mercanti e internet. Dice di aver rintracciato 19 pezzi di sospetta provenienza libica messi in vendita nel solo 2016. «Tutti da scavi non autorizzati», aggiunge, prevedendo che il flusso di questi oggetti, in particolare attraverso l’Egitto, potrebbe aumentare se la guerra finisce perché la gente cercherà di vendere i reperti saccheggiati che potrebbe aver tenuto nascosti. Belzic si interessa principalmente di scultura funeraria dalla Cirenaica. I manufatti di questa zona spesso sono decorati con l’immagine del silfio, una pianta stagionale fondamentale nell’antichità per l’economia della città. Belzic spiega che le opere che arrivano in Europa vanno da piccoli oggetti offerti per poche centinaia di euro a statue importanti vendute a centinaia di migliaia. Un pezzo «incredibilmente bello» è comparso in un video di YouTube poi cancellato; la statua ora è scomparsa, aggiunge Belzic. Una portavoce dell’International Council of Museums (Icom), che lavora con ricercatori come Belzic, ha dichiarato che l’organizzazione sospetta che stiano avvenendo «saccheggi su ordinazione, soprattutto di busti funerari da Cirene». 

Gheddafi è stato rovesciato da forze appoggiate dalla Nato nel 2011. Tre anni dopo, delle elezioni parlamentari contestate hanno dato vita a Governi rivali a Tripoli e Tobruk. A rendere la situazione più caotica ci sono le centinaia di milizie armate rivali spuntate nel Paese e le campagne appoggiate dall’Occidente contro gli estremisti islamici che hanno guadagnato terreno in Libia. Gli sforzi della comunità internazionale per rimpiazzare le amministrazioni rivali con un nuovo Governo di intesa nazionale nella capitale stanno vacillando e hanno sofferto una battuta d’arresto a settembre, quando il potente generale Khalifa Haftar si è impadronito di diversi porti petroliferi nell’area orientale.

La caduta di Gheddafi Secondo la storica dell’arte e archeologa statunitense Susan Kane, dell’Oberlin College, Ohio, vincitrice nel 2013 del Society of American Archeology Presidential Award per il suo impegno in Libia, lo scontro politico ora si riflette anche nella divisione tra gli archeologi del Paese. «Al momento ci sono tre Governi in Libia, e nessuno funziona molto bene, tra loro non c’è collaborazione. Ci sono due responsabili delle antichità, uno a Tripoli e l’altro a Bengasi, che non si parlano. Ci sono molti saccheggi nei dintorni di Shahat che nessuno può fermare a causa delle dispute politiche e tribali locali. I reperti stanno uscendo dalla Cirenaica», afferma la Kane aggiungendo che la preoccupazione per la Siria e per siti come Palmira porta a sottovalutare il patrimonio libico.

A luglio l’Unesco ha dichiarato in pericolo tutti e cinque i siti libici patrimonio dell’umanità: Cirene, Leptis Magna, Sabratha, le rocce rupestri del Tadrart Acacus e l’antica città di Ghadames. Dal canto loro, gli archeologi libici accusano l’Unesco di non fare abbastanza per aiutarli sul campo. Ma c’è un’eccezione in questo caos. Nel 2011, quando la caduta di Gheddafi era ormai imminente, Shebani e i suoi colleghi al Museo Archeologico di Tripoli sono riusciti a mettere in salvo i tesori del museo. Facendo finta che il museo avesse chiuso per mancanza di finanziamenti, spostarono circa 2.500 manufatti, monete e altri pezzi in depositi in disuso, dove li nascosero, a volte dietro finte pareti, con dei mobili coprendo gli ingressi. Tra questi pezzi, circa 250 statue, come quella della Venere delle terme di Adriano a Leptis Magna, e una statua delle tre Grazie da Cirene. «Le statue nei musei sono protette, sono sotto controllo», ha dichiarato Shebani.

Diciotto musei nel Paese sono chiusi e lo rimarranno, secondo quanto afferma Shebani, fino a quando la Libia avrà un unico Governo. Sempre dall’Icom fanno sapere che «non ci sono garanzie, visto che il Paese non è stato considerato abbastanza sicuro per mandare persone sul territorio a verificare quale sia la situazione attuale».

Tim Cornwell, 05 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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