I bronzi dorati di Cartoceto nel Museo di Pergola (Pu). Foto: Oscar Mei

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I bronzi dorati di Cartoceto nel Museo di Pergola (Pu). Foto: Oscar Mei

Le traversie ottocentesche dei bronzi di Cartoceto

Ha indagato sul reperto Oscar Mei, professore di Archeologica classica all’Università di Urbino, che sta per pubblicare un saggio sull’argomento

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Redazione GDA

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Il 26 giugno 1946 vicino a una casa colonica nella località Santa Lucia di Calamello nel Comune di Pergola (Pu) due mezzadri, scavando un fosso, trovarono i cosiddetti «bronzi di Cartoceto»: oltre 300 frammenti di due cavalieri a cavallo e due matrone che formano il gruppo conservato dal 1988 nel museo locale. Tra le tante domande in sospeso sorge spontaneo chiedersi il perché quei bronzi dorati del I secolo a.C. si trovassero nella campagna marchigiana e da quanto tempo fossero lì. Oscar Mei, professore di Archeologica classica all’Università di Urbino, indagando forse ha trovato una traccia, sorprendente, che ha presentato oggi 24 marzo al Salone di Archeologia e Turismo Culturale di Firenze «TourismA» e in un volume in via di pubblicazione con gli atti di un convegno del 2021.

L’archeologo ricapitola così i fatti: «In un diario un signore, Osvaldo Ciampiconi di Fossombrone, vicino a Pergola, ricorda che quando era bambino nel 1910 un amico di suo padre, Domenico Vitali, a pranzo a casa loro raccontò di un vecchio che gli aveva confessato di aver portato durante le guerre due cavalli in bronzo su un carro e di averli nascosti a Monte Fattore, dove i frammenti furono ritrovati, per timore che li prendessero gli austriaci. Si tratterebbe delle guerre del settembre 1860 e in quel periodo un piccolo contingente di austriaci si trovava nella zona di Pergola». Ma chi era il vecchio? «Probabilmente l’ex bandito Biagio Binotti, capo di una banda. Arrestato nel 1872, rilasciato a inizio ’900, era solito raccontare le sue gesta e a chi andava a caccia, diceva di fare attenzione perché c’era un tesoro nascosto. Binotti era lo zio della moglie di Vitali».

Quella pagina di diario, ricorda Mei, negli anni ’70 fu pubblicata in un libro, passato inosservato, di ricette in dialetto fossombronese. «I bronzi erano a una trentina di centimetri sotto terra, a meno di cinque metri da una casa colonica già presente nel catasto napoleonico del 1815. L’occultamento negli anni ’60 spiegherebbe la mancanza di una stratigrafia archeologica. Inoltre nel catasto pontificio tra la casa e la buca risultava una vigna: la impiantarono senza trovare nulla? Ciò rende ancor meno plausibile che i bronzi siano rimasti lì per 1.500-2mila anni». Perché Binotti li avrebbe nascosti vicino alla casa? «I banditi avevano protettori nelle campagne e probabilmente chi l’abitava aveva legami con lui. Ho trovato la sua fedina penale nell’Archivio di Stato di Pesaro-Urbino: faceva anche il vetturino, aveva un cavallo e un carro e non tutti in campagna potevano permetterseli».

Ma chi occultò il bottino non lo recuperò? «Secondo una leggenda c’era un tesoro nascosto, chiunque lo toccasse sarebbe morto, risponde l’archeologo. La mia idea è che i banditi abbiano nascosto i bronzi negli anni ’60, abbiano minacciato di morte chiunque li avesse toccati e abbiano provato a venderli inutilmente. Nel 1872 vennero arrestati, decenni dopo rimaneva solo la leggenda. Per il trafugamento in epoca antica sono stati chiamati in causa i Goti, i Longobardi e altri, la mia ricostruzione riaprirebbe così l’interrogativo».

I bronzi dorati di Cartoceto nel Museo di Pergola (Pu). Foto: Oscar Mei

Redazione GDA, 24 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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