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Le profanazioni che valorizzano

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Daniele Manacorda

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Bisogna però garantirne la sostenibilità economica

Come far convivere l’arte contemporanea con i resti archeologici? In genere si sceglie la soluzione più facile, esponendo opere di varia natura all’interno di complessi monumentali o di musei: ospiti sopportati o graditi in omaggio al gusto individuale, ma sempre di fatto scollegati dal contesto, per creare occasioni di osservazione critica o di comprensibili perplessità. Personalmente penso che il giudizio vada sempre espresso nel merito di ciò che si fa piuttosto che sulla sua legittimità in omaggio a regole rigide, che nel campo culturale producono di solito più danni di quanti vorrebbero evitarne.

Il tema è riproposto in termini nuovi dalla recente ricostruzione delle architetture perdute della Basilica di Siponto (cfr. lo scorso numero p. 21 e «Vedere in Puglia e Basilicata» allegato a questo numero), che ha alimentato qualche sterile polemica ma anche qualche più profonda riflessione. Si tratta infatti di un intervento che si pone a metà tra una riproposizione, suggestiva e intrigante, di forme architettoniche, che danno la terza dimensione ai muri rasi al suolo di un sito archeologico malamente scavato un paio di generazioni fa; e una installazione artistica, che in questo caso non ha dalla sua neppure quella natura temporanea che dovrebbe smorzare inutili diatribe.

La basilica metallica di Tresoldi e del suo giovanissimo gruppo di lavoro rende di nuovo percepibile come per incanto nello skyline del luogo, specialmente quando le ombre della sera si illuminano a delineare le nuove forme, ciò che c’era e da tempo non c’è più. Con lo stile della grafica digitale 7 tonnellate di rete zincata elettrosaldata tornano a disegnare con un leggerissimo ricamo i pilastri e le arcate  della chiesa scomparsa, che si animano di figure umane, metalliche anch’esse, immerse in una architettura alta ben 14 metri, al tempo stesso vera e fantastica, che si integra con l’ambiente circostante e ne arricchisce la percezione incantando lo spettatore (in pochi mesi, non a caso, l’area è stata «riscoperta» da decine di migliaia di visitatori). Tra i meriti dell’intervento, oltre a quelli estetici, che a me paiono rilevanti anche perché si accompagnano a un reale incremento della comprensione del sito, c’è anche la natura pubblica della committenza, che dimostra il coraggio e le capacità di iniziativa pur sempre presenti nell’amministrazione periferica del nostro Ministero. 

Naturalmente non sono mancate le critiche, quelle dettate dalla concezione religiosa dell’articolo 9, che lasciano il tempo che trovano, e quelle più meditate, che si interrogano sulla liceità di una ricostruzione non filologica delle architetture (ma per questo esistono gli strumenti della comunicazione) e sul fatto che la soluzione scelta non è sufficiente a garantire la protezione dei resti antichi dalle intemperie.

Tra gli storici dell’arte qualcuno bolla la basilica metallica di Siponto come «un pericoloso precedente» per altre profanazioni del patrimonio culturale. Altri la ritengono una scelta originale, anzi un utile precedente per futuri progetti di restauro. I lettori di «Il Giornale dell’Arte» possono farsi una propria idea andando a visitare Siponto e il suo parco, che nel frattempo vorremmo veder dotato delle risorse e del personale necessari a una gestione dell’area che renda il luogo più accogliente. Dopo l’emozione della visita, spenti i fari dell’illuminazione suggestiva, resta aperta la domanda circa il futuro di questo, come di altri parchi archeologici, quando, per dirla con Giuliano De Felice, «verrà anche per il Parco di Siponto il momento della gestione quotidiana, in cui l’installazione artistica sarà sempre meno un elemento di attrazione e sempre più un fattore di costo». Una valorizzazione piena, grazie anche al coraggio della innovazione, richiede infatti anche investimenti che creino ricchezza e lavoro e garantiscano la sostenibilità economica degli interventi. Mi auguro che l’opera di Tresoldi, più che un fiorire di reti metalliche «alla Siponto», generi motivi di riflessione sulla funzione dell’arte contemporanea nella valorizzazione del patrimonio monumentale, affrancandola dal ruolo apatico di semplice ospite in terra altrui a componente creativa del processo di avvicinamento del senso dei luoghi antichi alla mentalità e al sentire contemporanei. 

Daniele ManacordaArcheologo, ordinario all’Università di Roma Tre

Daniele Manacorda, 10 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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