Le Marche recuperano il tempo perduto
Per Stefano Papetti con la valorizzazione del patrimonio artistico e naturalistico cresce il turismo culturale e aumenta la consapevolezza dei cittadini

«Nel 1581 Montaigne chiamò le Marche “giardino d’Italia”: seppe vedere una sintesi delle bellezze naturalistiche e artistiche che qui si raccolgono tutte assieme». A rievocare l’incanto provato dallo scrittore e filosofo francese è Stefano Papetti. Nato nel 1957, laureato a Firenze con Mina Gregori, dirige i Musei Civici di Ascoli Piceno e, tra i vari incarichi, è docente a contratto all’Università di Camerino. Organizzatore infaticabile di manifestazioni culturali, studi e mostre, conosce a menadito la cultura figurativa e il territorio marchigiani.
Gli italiani e gli stranieri sono consapevoli delle bellezze culturali e naturalistiche delle Marche?
Bisogna distinguere. Tra gli storici dell’arte, e per chi si muove lungo percorsi artistici, il livello di conoscenza è alto sin dai primi del ’900. Lo sa meno il pubblico più vasto, rispetto a regioni come la Toscana e l’Umbria. Una
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