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Il soprintendente del Castello Sforzesco Claudio Salsi nella Sala delle Asse davanti alla porzione di disegno rinvenuto sotto gli scialbi. Milano, Castello Sforzesco - © Comune di Milano, tutti i diritti riservati

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Il soprintendente del Castello Sforzesco Claudio Salsi nella Sala delle Asse davanti alla porzione di disegno rinvenuto sotto gli scialbi. Milano, Castello Sforzesco - © Comune di Milano, tutti i diritti riservati

La mano di Leonardo nei tronchi del Castello

Claudio Salsi racconta le novità del restauro della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

L’apertura al pubblico, per ben nove mesi, dal 16 maggio al 12 gennaio prossimo, della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco, il cui cantiere di restauro, in corso grazie al sostegno di Fondazione Cariplo, ha già prodotto risultati sorprendenti, rappresenterà il punto culminante delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo, molte delle quali inserite nel palinsesto «Milano Leonardo 500» coordinato dal soprintendente del Castello Claudio Salsi, e dai suoi collaboratori (in particolare Ilaria De Palma).

La Sala delle Asse, il salone d’onore degli Sforza nella Torre nord (o Falconiera), rappresenta però un unicum perché è lì, nel meraviglioso «Monocromo» ma non solo, che c’è davvero la mano del Maestro, in quella che sarebbe stata la sua impresa pittorica più imponente se nel 1499 Ludovico il Moro, suo patrono e committente, non fosse stato costretto alla fuga e poi fatto prigioniero dai francesi.

Come annotò asciuttamente Leonardo stesso: «Il Duca perso lo stato e la roba e la libertà e nessuna opera si finì per lui». Prima di Ludovico, il fratello maggiore Galeazzo Maria Sforza, negli anni Settanta del Quattrocento, aveva fatto rivestire completamente di assi di legno (soffitto compreso) la Camera della torre, come allora si chiamava: un’usanza diffusa, per difendersi dal freddo e dall’umidità. Da allora la sala si chiamerà anche Sala delle Asse e così la definirà Luca Beltrami, sulla base di una famosa lettera del 1498 di Gualtiero di Bascapè, segretario di Ludovico il Moro, in cui assicura al duca che «lunedì se desarmerà la camera grande da le asse cioè da la tore. Magistro Leonardo promete finirla per tutto septembre».

Sappiamo che Leonardo non lo farà, ma è evidente che, una volta preso (fra molti sospetti) il potere, Ludovico vorrà lasciare una forte impronta personale sulla decorazione della Sala, commissionando a Leonardo un vasto apparato decorativo centrato sulla propria persona. Il maestro immaginerà un gigantesco padiglione di verzura di alberi di gelso («morus» in latino, «morone» in antico lombardo, da cui l’attributo di Ludovico, che era sì bruno di carnagione, ma che potenziò anche la coltivazione del gelso per alimentare la fiorente industria serica del Ducato), i cui tronchi («18 e non 16, come sempre si è ripetuto» precisa Salsi) scandiscono le pareti e i cui rami, intrecciati a corde dorate, salgono sulla volta, dove formano un fitto pergolato.

A Salsi si deve l’avvio dell’attuale restauro dopo che nel 2006 Maria Teresa Fiorio, allora direttrice delle Civiche Raccolte d’Arte, lanciò l’allarme per le diffuse efflorescenze saline, che stavano cancellando ciò che restava della superficie decorata: «Grazie a Italia Nostra, si avviò un piccolo cantiere di studio, assegnato ad Anna Lucchini, con la supervisione dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che evidenziò il degrado ma segnalò anche la presenza di tracce di pittura originale sotto le diffuse ridipinture del Rusca (al tempo del primo restauro, tra Otto e Novecento, di Luca Beltrami) e poi di Ottemi Della Rotta, al tempo del restauro, del 1955-56, di Costantino Baroni e dello Studio BBPR».

Il recupero iniziò nel 2013 quando il Comune e il Castello se ne fecero carico, con il supporto di A2A e poi di Arcus: fu creato un gruppo, con Michela Palazzo direttrice dei lavori, affiancata da Francesca Tasso, dalle Soprintendenze milanesi, da direzione e restauratori dell’Opd di Firenze e da un folto Comitato scientifico. «Grazie alla ricerca d’archivio commissionata a Carlo Catturini, scoprimmo che dopo l’intervento di Leonardo la stanza si chiamava Sala dei moroni, cioè dei gelsi (confermando quanto ipotizzato da Pietro C. Marani già nel 1982): così è citata da Luca Pacioli nel suo Divina Proportione. Con il pergolato di “moroni”, Leonardo aveva ideato una decorazione encomiastica dedicata al Moro dove, fra i tronchi, si apriva almeno uno sfondato prospettico, che allargava virtualmente la sala sull’esterno. Solo ora, la pulitura al laser realizzata da Anna Brunetto, ha portato alla luce, sotto strati e strati di calce, alcuni disegni preparatori di un piccolo paesaggio e di tronchi, affiancati da arboscelli. Si è poi scoperto che i tronchi di cui si scorgeva solo la parte superiore, caratterizzati da un diverso tratto qualitativo e differente finitezza, proseguivano verso il basso. Quando il Castello diventò caserma e la Sala delle Asse fu destinata a scuderia, le pareti furono scialbate più e più volte con la calce fino a grande altezza (anche per via delle numerose epidemie del tempo), cancellando così parte dei grandi fusti e i disegni paesaggistici del progetto originale».

Ma il brano meglio conservato, riscoperto solo negli anni ’50, è quello del «Monocromo» con le radici di gelso che s’insinuano tra le rocce: «Ora siamo certi che il disegno circondasse un camino, nascosto da Beltrami a dai BBPR, continua Salsi. Ciò che stupisce è il grado di raffinata elaborazione grafica di questo grande, magnifico disegno, che i visitatori potranno vedere da vicino grazie a una tribuna che li porterà a vivere un’esperienza vis-à-vis con Leonardo».

Su questo superbo lacerto autografo, il cui restauro si è concluso nel 2015, per Expo Milano, è già uscito il volume bilingue Leonardo da Vinci. La Sala delle Asse del Castello Sforzesco. La diagnostica e il restauro del Monocromo, edito da Silvana e curato da Michela Palazzo e Francesca Tasso: il primo di una collana di cui è ora in preparazione il secondo, a cura di Alessia Alberti e di Claudio Salsi, dedicato all’iconografia della Sala. In occasione dell’apertura i visitatori saranno accompagnati alla comprensione dei disegni ritrovati, della volta e delle lunette (ridipinte ma con frammenti originali riscoperti solo ora, il cui restauro conservativo sarà coordinato da Silvia Volpi e Michela Palazzo), da un’installazione multimediale con proiezioni e ologrammi di attori che «racconterà» la Sala delle Asse, e da un breve spettacolo.

Nelle Sala dei ducali fino al 18 agosto sono esposti disegni di Leonardo e di leonardeschi (con prestiti da Royal Collection di Windsor, Louvre e altre istituzioni) che mostrano affinità suggestive con dettagli del Monocromo e con i disegni appena ritrovati; nell’Armeria una mostra multimediale racconterà la Milano del tempo di Leonardo prendendo le mosse dalla «Madonna Lia», 1495 circa, del leonardesco Francesco Napoletano (esposta nella Cappella Ducale), in cui si vedono il Castello com’era allora e il quartiere che gli sorgeva accanto. Infine nel Cortile delle Armi Orticola, con la cura di Giovanna Mori, erigerà un padiglione vegetale simile a quello dipinto da Leonardo.

Il soprintendente del Castello Sforzesco Claudio Salsi nella Sala delle Asse davanti alla porzione di disegno rinvenuto sotto gli scialbi. Milano, Castello Sforzesco - © Comune di Milano, tutti i diritti riservati

Ada Masoero, 19 aprile 2019 | © Riproduzione riservata

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