Image

Mauro Chessa

Image

Mauro Chessa

La figurazione intellettuale di Mauro Chessa

È scomparso il 28 luglio a Torino il pittore figlio di Gigi Chessa e protagonista di una feconda stagione dell’arte torinese a cavallo tra gli anni Sessanta e gli Ottanta

Image

Franco Fanelli

Leggi i suoi articoli

«Il quadro si giustifica oggi come due livelli di linguaggio, uno tratto dai modi normali di consumo del reale e l’altro dalla diversa considerazione della realtà [...]: il quadro è proprio questo meccanismo di compresenza, questa dialettica interna di decodificazione e ricodificazione». Così scriveva Paolo Fossati, il più acuto testimone critico delle vicende dell’arte a Torino nella seconda parte del ’900, a proposito della pittura di Mauro Chessa.

Scomparso lo scorso 29 luglio a 89 anni, all’interno della compagine figurativa (non solo torinese) era l’esponente più vicino a un’idea della pittura come attività intellettuale, in cui convergevano la ricchezza culturale di un appassionato lettore ma anche di un artista inquieto, interessato fondamentalmente a quella che ancora oggi, anzi oggi più che mai, è la questione cruciale: l’immagine, il suo ruolo e il suo destino.

Questa complessità intellettuale include l’attività cinematografica, cui si dedicò con particolare intensità, abbandonando temporaneamente tele e pennelli, tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, tra i pochissimi in Italia a praticare sia il versante d’avanguardia che quello politicamente militante, sino all’animazione per ragazzi.

Il richiamo della pittura fu però inevitabile per lui, due volte figlio d’arte. Suo padre, Gigi Chessa, era stato uno dei fondatori del gruppo dei Sei di Torino, che tra le due guerre guardava all’arte francese e a Matisse in particolare; sua madre, in seconde nozze, sposò Francesco Menzio, altro esponente di quello storico sodalizio cui guardava con simpatia Felice Casorati. La pittura come decodificazione (e non inerte riflesso) del reale, il quadro come organismo autonomo, dotato di proprie regole, era parte dell’eredità casoratiana.

Ma nel mondo di Chessa, dopo inizi vicini all’Informale e una fase «pop» (negli anni Cinquanta, giovanissimo, è alla Biennale di Venezia ed entra nell’orbita della Galleria Gian Ferrari di Milano), animato dai generi tradizionali della pittura (paesaggio, figura, natura morta) vive la visionarietà del suo amato Jorge Louis Borges, laddove la letteratura come riflesso della letteratura di traduce in pittura come raffinato «discorso» su sé medesima.

Mauro Chessa

Franco Fanelli, 23 agosto 2022 | © Riproduzione riservata

Articoli precedenti

Doppietta della Fondation Louis Vuitton: Monet-Mitchell (675mila visitatori) e Warhol-Basquiat (662mila); Vermeer terzo per un soffio. Van Gogh primo in Italia. La moda sempre più di moda: Schiaparelli decimo posto, McQueen sedicesimo, Cartier diciottesimo

Il progetto «polifonico» del curatore Luca Cerizza e dell’artista Massimo Bartolini è uno spazio abitato dalla musica  e da poche opere di meditazione e di introspezione, i cui poli sono la natura e la spiritualità 

Da oltre cinquant’anni l’artista torinese dialoga severamente con la storia della pittura per rivelarne l’alfabeto nascosto. Scrive il «New York Times»: «Merita un posto nella storia mondiale dell’Astrattismo»

A Bassano del Grappa, il rapporto tra pittura e stampa nella Venezia cinquecentesca

La figurazione intellettuale di Mauro Chessa | Franco Fanelli

La figurazione intellettuale di Mauro Chessa | Franco Fanelli