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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliPoco più di un decennio separa la caduta del Muro di Berlino e l’attentato alle Torri Gemelle: un periodo breve nella storia della civiltà umana. Eppure il mondo è cambiato a velocità esponenziale, come mai era accaduto prima. L’arte ha sviluppato temi e linguaggi inediti sperimentando con grande libertà e sganciandosi dall’ombra delle nuove avanguardie. La fine della Guerra Fredda, la piaga dell’aids, internet, il digitale, la globalizzazione e il terrorismo hanno mutato per sempre la percezione del mondo, di se stessi e dell’altro. Ad analizzare questa intensa stagione è la mostra «Liberi tutti. Arte e società in Italia 1989-2001», nel Museo Ettore Fico dal 9 luglio al 18 ottobre. Curato da Luca Beatrice e Cristiana Perrella, il percorso comprende 78 opere di 63 artisti italiani realizzate tra il 1989 e il 2001: un universo frammentario in cui non emergono scuole o tendenze, ma soltanto poetiche e stili individuali. Dipinti, sculture, installazioni, video, fotografie e performance sono riuniti sotto il titolo di una canzone dei Subsonica del 1999 («Liberi tutti», appunto) che invita a fuggire dalla mediocrità e dalle gerarchie. Alle figure femminili emaciate e archetipiche di Margherita Manzelli fanno da contraltare i volti iconici ricamati da Francesco Vezzoli, che con ago e filo rivela il lato oscuro della notorietà. I corpi delle modelle fotografate da Vanessa Beecroft, invece, nascondono dietro una bellezza statuaria, il disagio e la frustrazione legati al culto dell’immagine. La mistificazione dei fatti messa in atto dai mass-media emerge in «Untitled (Christmas 95)» di Maurizio Cattelan, che trasforma il simbolo delle Brigate rosse in un neon natalizio. Non mancano, poi, il tema dell’emigrazione, cui allude «Home to go» di Adrian Paci, le raffigurazioni di uomini alienati ed emarginati di Mario Airò e Matteo Basilè e, ancora, opere di Loris Cecchini, Monica Bonvicini, Rudolf Stingel e molti altri. A legare linguaggi e stili tanto diversi è il dubbio, la crisi di valori che ha colpito una generazione di artisti nati per lo più negli anni Sessanta, quando il mondo ancora colmo d’ideali, di certezze e di fiducia nel futuro si avviava al suo tramonto. Esemplare a tale proposito la fotografia in bianco e nero di Marcello Maloberti, ambientata in una cucina tipica del periodo con un’anziana signora che si rifugia sotto il tavolo, in attesa di un imminente terremoto.
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