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S’intitola «Nel Paesaggio di Xvarnah» la personale di Marco Bagnoli che si apre il 10 febbraio nella Galleria Christian Stein, dove sarà visibile fino al 7 maggio. Un titolo suggestivo, per una mostra che, come da tempo accade all’artista toscano, guarda alla cultura persiana. Il salone di Palazzo Cicogna si apre così ad accogliere un’installazione densa di sortilegi, formata da tre opere realizzate tra il 2019 e il 2021: sette disegni compongono quella, del 2019, che dà il titolo alla mostra.
Indivisibili, i disegni sono tratti da miniature persiane del XIV secolo, lungamente cercate, e trovate dall’artista nel «Manoscritto Nezami» (Museo d’arte turca e islamica di Istanbul), che evocano la « Xvarnah mazdea», la luce ferma e incorrotta della mitica terra dell’origine, dove il tempo non esiste, ma da cui, nel pensiero indo-iranico, emana tutto ciò che è reale. Sospeso tra metafisica, mistica e spiritualità, il cammino di Bagnoli s’inoltra in territori estatici, usualmente preclusi al mondo fenomenico, che lui sa però tradurre in immagini percettibili ai nostri sensi.
Identica l’atmosfera di sospensione del «Giardino degli Specchi», 2020, un’opera scaturita nel 2010 da un viaggio in Iran (qui presentata nella terza, inedita, versione), che rievoca la matematica armonia di un giardino islamico attraverso parabole specchianti e bande rosse, in un percorso di ulteriore avvicinamento alla luce.
La triade di opere è completata da «Dove Porta», 2021, un omaggio a Le Porte Regali di Pavel Florenskij, animato dalla volontà di trovare il luogo d’incontro tra mondo visibile e invisibile: «Due mondi che sono in contatto. Tuttavia la differenza tra loro è così grande che non può non nascere il problema del confine che li mette in contatto, che li distingue ma altresì unisce».
Marco Bagnoli, «Opera scenica. AttoRitratto», Firenze 2014. Foto: Ela Bialkowska
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