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Una veduta della mostra «Baj + Milton “Paradiso Perduto” i paradossi della libertà» nella BFF Gallery

Photo: Giancarlo Pradelli

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Una veduta della mostra «Baj + Milton “Paradiso Perduto” i paradossi della libertà» nella BFF Gallery

Photo: Giancarlo Pradelli

A Casa BFF con Massimiliano Belingheri

È stata inaugurata il 3 aprile scorso, a Milano, la sede centrale di BFF Banking Group: un edificio interamente vetrato, il cui piano terreno e seminterrato sono adibiti a museo di arte italiana del secondo ’900. Ce lo racconta l’amministratore delegato

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Un nuovo edificio, interamente vetrato e sovrastato dal segno forte di un «velario» sorretto da colonne alte 40 metri e, al piano terreno e nel seminterrato, un nuovo museo di arte italiana del secondo ’900, BFF Gallery, destinato ad accogliere mostre con opere degli artisti (Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Alberto Burri, Alik Cavaliere, Hsiao Chin, Lucio Del Pezzo, Lucio Fontana, Gianfranco Pardi, Arnaldo Pomodoro, Giò Pomodoro, Mario Schifano, Emilio Tadini, Joe Tilson e molti altri) della collezione della Banca. Mostra inaugurale (fino al 17 ottobre): «Baj + Milton “Paradiso Perduto” i paradossi della libertà», a cura di Maria Alicata e Giovanni Carrada, in collaborazione con l’Archivio Enrico Baj.

Dal 3 aprile scorso un’area di Milano in grande sviluppo ma finora priva di una vera identità a causa della cesura creata dal viale che porta alle autostrade, si è arricchita di un edificio di grande pregio architettonico e di grande riconoscibilità, pensato anche per offrire un polo di aggregazione per la comunità (c’è anche un auditorium «aperto» alla città): parliamo di Casa BFF, la sede centrale di BFF Banking Group, in viale Lodovico Scarampo 15, nell’area del Portello, progettato da OBR-Open Building Research in stretto contatto con la committenza. Al suo amministratore delegato Massimiliano Belingheri abbiamo chiesto di raccontarci le ragioni e la genesi di questo progetto in cui architettura e arte si intrecciano per generare positività nelle persone che lavorano qui e nella collettività.

Dottor Belingheri, la vostra non è una Banca tradizionale. Può innanzitutto spiegarci la vostra specificità?
BFF Banking Group è una banca specializzata: non a caso il nostro slogan è «a bank like no other». Ed è «come nessun’altra» per tanti aspetti, ma essenzialmente per i tre «mestieri» che facciamo: noi infatti finanziamo le grandi imprese che servono la Pubblica Amministrazione fornendo un servizio factoring e di gestione del credito; operiamo nel mondo dei pagamenti per banche di medie-piccole dimensioni e istituti di pagamento, e infine siamo una banca depositaria, in quanto deteniamo i titoli di asset manager e di altre istituzioni finanziarie, a protezione dell’investitore. Sono aree molto specializzate e poco note al grande pubblico ma non va dimenticato che siamo anche una banca internazionale: il 40 per cento della nostra esposizione verso la clientela è fuori dall’Italia e un terzo della nostra forza lavoro opera all’estero. Siamo presenti in nove mercati e, pur in una dimensione relativamente piccola per una banca, avendo noi meno di 900 dipendenti, siamo una mini-multinazionale, basata in Italia.

Infatti avete da poco inaugurato la nuova sede centrale a Milano e con la vostra Casa BFF avete impresso un segno urbano forte, e fortemente simbolico (un palazzo interamente di vetro), in un’area della città in via di rigenerazione. In più, con BFF Gallery avete voluto trasmettere un ulteriore messaggio di apertura alla collettività, in un’osmosi tra banca e comunità che prima era rara. Ce ne racconta le ragioni?
Volevamo consolidare per la prima volta tutti i dipendenti in una sola sede e abbiamo scelto non di acquisire un edificio già costruito ma di costruirlo noi stessi. Non è stato per volontà di potenza ma per cercare di renderlo funzionale ai nostri obiettivi, che erano quelli di facilitare l’interazione fra le persone della banca e incentivarle a tornare in ufficio grazie anche a una qualità dell’ambiente molto elevata. C’è stato un incrocio tra le idee dei progettisti, Paolo Brescia e Tommaso Principi di OBR, e le nostre esigenze e sono state fatte scelte non ovvie: i soffitti, per esempio, sono molto alti, tanto che abbiamo ricavato sette piani laddove se ne sarebbero potuti costruire nove, ma poiché abbiamo molti ambienti open space, volevamo rifuggire qualunque effetto di schiacciamento. Non solo, ma all’ultimo piano (da cui si gode una bellissima vista a 360 gradi), dove in genere ci sono gli uffici dei vertici, abbiamo posto luoghi di aggregazione come la palestra e il ristorante per i dipendenti, mentre abbiamo collocato le principali sale meeting al primo piano, dove per altro è anche più facile far arrivare chi viene da fuori. Insomma, l’obiettivo primario era rendere il luogo di lavoro una destinazione attraente e positiva. Ma volevamo anche un edificio che rappresentasse la ragione per cui siamo una Banca «like no other». L’idea è stata quella di avere una casa totalmente trasparente, il che rende più funzionali le interazioni all’interno e al tempo stesso rende simbolicamente l’idea di ciò che è la nostra banca. Storicamente gli edifici delle banche erano fortilizi, a protezione del denaro, ma il denaro oggi non esiste più nel suo aspetto tangibile, si è smaterializzato: il valore della banca, quindi, sta nella fiducia che le persone hanno nell’istituzione. Il fatto che sia trasparente è un modo per rendere più visibile questo messaggio.

Massimiliano Belingheri

Anche la scelta di aprire gratuitamente le mostre di BFF Gallery mi sembra andare nella stessa direzione. E così pure l’aver previsto una piazza, cioè un luogo d’incontro, di fronte all’edificio, aperto alle persone di BFF e alla collettività.
Volevamo comunicare un senso di accoglienza, in tutti i sensi. Prima eravamo dispersi in più sedi, in una città che, come diceva Gabriele Basilico, è una «interrupted city». L’aver creato un unico edificio con uno spazio esterno importante, con panchine e alberi (che cresceranno...) è di per sé un segnale. Quanto al progetto artistico del museo BFF Gallery, l’idea è stata quella di aprire un piccolo tesoro che possedevamo, la collezione d’arte, rendendolo da un lato fruibile, dall’altro visibile anche dall’esterno, annunciato anche da alcune opere che avevamo nella vecchia sede, come la scultura «Grande Radiale Tondo», 1968, di Giò Pomodoro, e due opere di Gianfranco Pardi («Sheet», 2002 e «Danza», 2004), che abbiamo posto nella nostra piazza per renderle visibili a tutti. In precedenza, la collezione era utilizzata per rendere più piacevoli, vivibili, stimolanti, gli spazi interni; ed è ciò che tuttora facciamo: stiamo infatti collocando alcune opere negli uffici, ma abbiamo anche cercato di trarre un’opportunità da quello che era un vincolo: se tutte le pareti sono trasparenti, non c’è più modo di appendere nulla. Avevamo però, al piano terra e al seminterrato, degli spazi meno adatti agli uffici e li abbiamo voluti trasformare in uno scrigno aperto alla città, usando la nostra collezione per raccontarci e per stimolare la comunità intorno a noi.

Si sono già manifestati degli effetti della presenza di Casa BFF sul territorio?
Abbiamo avuto un buon riscontro sin dai primi giorni di apertura, quando abbiamo avuto un migliaio di visitatori, ma anche in seguito c’è stata una buona attrattività. Volevamo creare l’occasione per venire qui: non abbiamo un traffico di clienti retail ma siamo dentro la comunità, per di più in un’area che si sta riqualificando. Anche nel lungo periodo, pensiamo che questa nuova «destinazione» possa contribuire a generare traffico, rendendo questo luogo, che è un po’ una cesura nel quartiere, un luogo di connessione.

Dopo la mostra inaugurale di Baj avete in calendario altre esposizioni? Ed esporrete solo opere della vostra collezione o ricorrerete a prestiti di opere altrui?
Abbiamo un piano di esposizioni che saranno incentrate sul valorizzare e raccontare la nostra collezione, in relazione anche con altre opere. Già per la mostra inaugurale l’Archivio Baj ci ha prestato «L’Apocalisse», che è stata riconfigurata in funzione dei nostri spazi. Continueremo in quell’ottica: raccontarci e creare connessioni con altre realtà e altre opere.

La collezione è stata avviata una quarantina d’anni fa: contate di arricchirla ancora?
La collezione (circa 250 opere, Ndr) si è consolidata tra il 1985 e 2006, quando ci fu il passaggio di proprietà dell’azienda, che era stata fondata originariamente da circa 30 case farmaceutiche riunite in un consorzio (Confarma, Ndr) ed è stata poi acquisita da un fondo di Private equity e infine quotata. Noi abbiamo fatto pochissime acquisizioni di opere dopo, il che ha permesso alla collezione di mantenere una forte unitarietà. In questi anni abbiamo lavorato non tanto sull’incrementare il numero di opere quanto sul renderle più visibili. Prima del trasferimento in Casa BFF, abbiamo anche realizzato con le nostre opere una serie di mostre, ognuna diversa dall’altra, in Europa (a Bratislava, Varsavia, Lisbona, Madrid, Atene) e negli Stati Uniti (a Washington e New York). L’intento che ci ha mosso è stato quello di promuovere l’arte e la cultura contemporanea italiana nel mondo. La nascita di BFF Gallery rappresenta una nuova importante fase in questo impegno per la valorizzazione.

Una veduta di Casa BFF. © Giancarlo Pradelli

Ada Masoero, 08 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

A Casa BFF con Massimiliano Belingheri | Ada Masoero

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