I ribelli del Tigray occupano le chiese di Lalibela

Le forze antigovernative prendono il controllo del sito sacro per milioni di cristiani ortodossi. Gli straordinari edifici scavati nella roccia sono una delle maggiori mete turistiche dell’Africa

Una festa religiosa ortodossa nei pressi della Chiesa di San Giorgio (Bete Giyorgis), una delle 11 scavate nella roccia a Lalibela, nella regione dell’Amhara
Gareth Harris |  | Lalibela

Addis Abeba. Le forze antigovernative del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) hanno preso il controllo di Lalibela, patrimonio mondiale dell’Unesco celebre per le sue chiese scavate nella roccia nel XII e XIII secolo. L’occupazione è l’ultimo sviluppo di una sanguinosa battaglia, durata nove mesi, contro le forze governative nello Stato etiope settentrionale del Tigray, che confina con l’Eritrea e il Sudan. Il conflitto ha provocato la morte di migliaia di persone e lo sfollamento di oltre 1,7 milioni di individui, ora a rischio carestia.

Lalibela, situata nella zona del Wollo settentrionale, nella regione di Amhara nel Nord del Paese, è un luogo sacro per milioni di cristiani ortodossi, grazie alle 11 chiese rupestri monolitiche. Secondo l’Unesco, «la loro costruzione è attribuita al re Lalibela, che si propose di costruire nel XII secolo una “Nuova Gerusalemme”, dopo che le conquiste musulmane avevano interrotto i pellegrinaggi cristiani in Terra Santa. La città di Lalibela fiorì dopo il declino dell’impero di Aksum». Il vicesindaco di Lalibela, Mandefro Tadesse, ha dichiarato alla Bbc la sua preoccupazione sia per l’integrità delle chiese, sia per la sopravvivenza dei cittadini in fuga. «Questo è un patrimonio dell’Umanità e dobbiamo cooperare per garantire che questo tesoro sia preservato», ha dichiarato Tadesse.

«Le forze del Tplf sono arrivate nel pomeriggio del 5 agosto e non ci sono stati combattimenti. Non c’erano forze di sicurezza governative in giro e il Tflf è ora in città», ha detto un residente di Lalibela all’Agence-France Presse. Il conflitto del Tigray è iniziato lo scorso novembre. Abiy Ahmed, primo ministro etiope dal 2018 (e Nobel per la Pace nel 2019, per il suo impegno a favore della conclusione della ventennale guerra tra Etiopia ed Eritrea), ha inviato forze governative per attaccare il Tplf, che ha controllato il Paese per tre decenni fino all’arrivo al potere di Ahmed. Le truppe eritree si sono unite alle forze etiopi.

A fine giugno, il Tplf aveva già preso il controllo di Mekelle, la capitale del Tigray; da allora le sue forze si sono spinte a est nel vicino Afar e a sud nell’Amhara, dove si trova Lalibela. All’inizio di agosto, il capo degli aiuti delle Nazioni Unite Martin Griffiths ha affermato che gli eserciti del Tigray che si spingono a sud hanno sfollato 200mila persone. Una dichiarazione delle Nazioni Unite afferma che oltre 5,2 milioni di persone in tutto il Tigray, oltre il 90% della popolazione della regione, necessitano di assistenza urgente, comprese 400mila persone che già affrontano «condizioni simili alla carestia».

Numerosi rapporti fin dall’inizio del 2021 hanno suggerito che i siti culturali del Tigray erano sistematicamente presi di mira ed esperti internazionali avvertivano che era in corso una «pulizia culturale». Il monastero di Debre Damo del VI secolo, in cima a una scogliera, è stato bombardato e poi saccheggiato dopo che i soldati eritrei hanno scalato una scogliera di 25 metri per raggiungerlo e rimuovere preziosi manoscritti. Le antiche abitazioni dei monaci nelle vicinanze sono state distrutte.

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