Gli equilibri perfetti dei collage di Louise Nevelson

Da Gió Marconi un progetto esplora quest’ambito di ricerca con la curatela di Yuval Etgar e il supporto della Fondazione Nevelson

Ugo Mulas, «Louise Nevelson, New York, 1965». © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati
Ada Masoero |  | Milano

A meno di un mese dall’inaugurazione, nelle Procuratie Vecchie restaurate da David Chipperfield, della mostra collaterale della 59ma Biennale di Venezia dedicata a Louise Nevelson (Ucraina, 1899-New York, 1988), Gió Marconi dedica a sua volta un omaggio alla grande artista di origine ucraina (nata presso Kiev, emigrata nel 1905 nel Maine con la famiglia e naturalizzata americana) negli spazi già della Fondazione Marconi, in via Tadino 15.

Qui, dal 25 marzo al 29 luglio, va in scena «Out of Order. I collages di Louise Nevelson», un progetto (concepito nel 60mo anniversario della partecipazione dell’artista alla Biennale veneziana del 1962, dove rappresentava gli Stati Uniti) che esplora quest’ambito di ricerca, centrale nel suo lavoro, con la curatela di Yuval Etgar e il supporto della Fondazione Louise Nevelson di Filadelfia. Una presenza familiare del resto, quella di Nevelson, nella storia della galleria, grazie al rapporto di amicizia stretto da Giorgio Marconi con l’artista americana, da lui presentata per la prima volta nel 1973.

La pratica del collage, messa a punto e diffusa dai cubisti nel primo ’900, divenne familiare alla giovane Louise nella sua formazione americana e nei suoi viaggi in Europa, e le offrì un linguaggio in cui riconoscersi: «il modo in cui penso è il collage», ripeteva. Si serviva, infatti, di materiali feriali e domestici e li assemblava in composizioni dagli equilibri perfetti, realizzate su supporti indifferentemente lignei o cartacei, cui conferiva una vera dignità artistica e una naturale monumentalità. Anticipando, poi, la pratica attuale del riuso.

Yuval Etgar, studioso del collage, ha individuato nei suoi lavori sei filoni principali, caratterizzati da diverse forme di composizione, di tecnica e di contenuti: dai «contenitori» ai lavori dipinti con pittura spray, dalle carte strappate ai materiali di scarto, ricomposti, come sosteneva orgogliosamente lei stessa, «in opere che ritengo essere decisamente femminili». A commento, l’importante volume omonimo (Marconi/Mousse Publishing).

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