Tommaso Sacchi di fronte a «Materia» di Boccioni. © Daniele Mascolo

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Tommaso Sacchi di fronte a «Materia» di Boccioni. © Daniele Mascolo

Futuristi dalla Russia

Reduci dalle mostre di Mosca e San Pietroburgo, arrivano al Museo del Novecento di Milano i capolavori della Collezione Gianni Mattioli: si inizia con «Materia» di Boccioni

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Sono appena arrivate dalla Russia nel Museo del Novecento, dopo le mostre fortunate nel Museo Russo di San Pietroburgo e nel Museo Pushkin di Mosca, le 26 opere della Collezione Gianni Mattioli (la più importante raccolta privata al mondo di dipinti futuristi e metafisici con capolavori di Boccioni, Balla, Carrà, Severini, Sironi e Morandi), cedute in comodato gratuito al museo milanese per cinque anni, rinnovabili, dall’attuale proprietario, don Giacomo Rossi, nipote del grande collezionista.

Il 7 febbraio, alla presenza dell’assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi, e delle conservatrici del Museo del Novecento Danka Giacon e Iolanda Ratti, è stata aperta la cassa di «Materia» (1912) di Umberto Boccioni, capolavoro assoluto della collezione e forse il più ambizioso dipinto del maestro futurista (reduce allora da Parigi, dove aveva visto la pittura cubista), che volle farne un «monumento» per l’amatissima madre e, al tempo stesso, una dichiarazione di poetica della sua nuova pittura.

Nei giorni prossimi sarà la volta degli altri dipinti, che «sicuramente entro ottobre, ma forse anche prima», ha dichiarato l’assessore Sacchi, saranno allestiti nella Galleria futurista del museo, dove dialogheranno con le opere della raccolta del futurista Fedele Azari, donata da Ausonio Canavese, e della Collezione Jucker, e con i dipinti della recente donazione di Giuseppina Antognini, facendo dell’istituzione milanese il più importante museo del Futurismo in Europa (ma forse non solo).

Notificate in blocco negli anni ‘70 dall’allora soprintendente milanese Franco Russoli per essere destinate, con le collezioni Jucker e Jesi, a quella «Grande Brera» da lui lungamente vagheggiata ma tuttora irrealizzata, che avrebbe dovuto documentare anche l’arte moderna e contemporanea, queste 26 opere erano state destinate in tempi recenti dagli eredi Mattioli alla Pinacoteca di Brera (dove già si trova la Collezione Jesi), ma l’intollerabile protrarsi dei lavori che avrebbero dovuto trasformare Palazzo Citterio nella sede di «Brera Modern» e lo scadere del mandato del direttore generale James Bradburne, hanno indotto il proprietario a destinarli al Museo del Novecento, nel frattempo splendidamente riallestito.

«La presenza al Museo del Novecento della Collezione Jucker e delle opere di Fedele Azari (lascito Canavese), di cui mio nonno fu amico e consigliere, spiega Giacomo Rossi, mi hanno spinto a pensare a questo museo come a un interlocutore privilegiato per garantire alla Collezione Mattioli la giusta valorizzazione e una fruizione ampia da parte di un pubblico vasto, proprio come voleva Gianni Mattioli»­­.

Tommaso Sacchi di fronte a «Materia» di Boccioni. © Daniele Mascolo

Ada Masoero, 08 febbraio 2022 | © Riproduzione riservata

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