Foto di gruppo con signora sola

Immy Humes ha raccolto 100 fotografie da differenti ambienti e in un periodo lungo più di un secolo, tutte con un elemento in comune: tra tanti uomini, nell’immagine, compare sempre una sola donna

Una delle 100 immagini del libro «The Only Woman»: Katharine Graham, editore di «The Washington Post», tra 22 uomini (New York, 1975)
Chiara Massimello |

The Only Woman (L’unica donna) è il titolo del nuovo libro pubblicato da Phaidon curato dalla documentarista americana Immy Humes, una raccolta di 100 fotografie di gruppo scattate tra il 1862 e il 2020: amici, movimenti, associazioni e club, attori e scrittori, registi, ma anche scienziati, avvocati e politici. Fotografie così diverse tra loro, realizzate in differenti ambienti e in un periodo lungo più di un secolo, ma tutte con un elemento in comune: tra tanti uomini, nell’immagine, compare sempre una sola donna.

Lil Hardin, la pianista americana che realizzò le prime registrazioni jazz di sempre, in concerto nel 1923, Katharine Graham, prima donna eletta nel Consiglio di amministrazione dell’Associated Press americana, al tavolo tra 22 uomini (1975), o l’astronauta Bonnie Dunbar durante il suo quinto volo spaziale tra nove colleghi americani e russi (1998). Nei piccoli gruppi la cosa non si nota quasi, ma a volte occorre sforzare gli occhi per trovare nella moltitudine la «lei» che ha saputo conquistarsi quel ruolo. La prima foto che colpì l’autrice del libro è del 1961. Nell’immagine la regista Shirley Clarke, spesso descritta all’epoca come l’unica regista donna, celebra il suo primo lungometraggio, sola tra 22 uomini (il cast, la troupe e i finanziatori).

Per associazione, alla Humes venne in mente l’unica donna presente nella nota foto di «Life» che ritrae il gruppo degli espressionisti astratti, o quella della scuola del Bauhaus. Da lì iniziò la ricerca e il ritrovamento di immagini scattate negli Stati Uniti, in Messico, Francia, Gran Bretagna, e altre quindici Nazioni. Scoprì così che molte sono in realtà le immagini dove c’è un’unica figura femminile in mezzo a molti uomini.

Nel libro, ognuna delle 100 foto selezionate è identificata con il nome della protagonista ed è accompagnata da una descrizione affascinante e precisa del momento e della ragione dello scatto. E se non stupisce che Marie Curie, «the Only» per eccellenza, sedesse sola in un gruppo di fisici e chimici alle conferenze Solvay nel 1911 (anno in cui vinse anche il suo secondo premio Nobel), o il primo ministro Margaret Thatcher fosse l’unica donna tra i 24 uomini del suo governo (1979), sorprende invece che in ambienti culturali più eccentrici e all’avanguardia, come nel movimento Beat a San Francisco nel 1965, ai 25 anni della galleria di Leo Castelli a New York nel 1982, o alla celebrazione dei 60 anni del Festival di Cannes nel 2007, sia ancora una e unica la donna da cercare nell’inquadratura.

La fotografia sa interpretare egregiamente il ruolo di testimone, consapevole nel fotogiornalismo, altre volte di riflesso, per una sorta di osmosi che può, come in questo caso, prolungarsi nel tempo. Queste 100 immagini sono nate con l’intento di documentare un momento, un avvenimento, una scoperta, o comunque la loro epoca, e probabilmente quasi mai chi le ha scattate ha riflettuto sul ruolo della donna nel momento dello scatto.

Oggi, dopo molti anni, sono per noi tramite di una storia diversa e acquistano nuova capacità e forza. La fotografia a volte è narrazione, semplice racconto di un’azione, ma non bisogna sottovalutare mai la sua capacità di essere portatrice di idee e di concetti. Esiste sempre una duplice lettura; e se la prima è più spontanea e visiva, la seconda è mediata dalla nostra esperienza e conoscenza. Si parte sempre dall’individuazione figurativa e iconografica che comprende i soggetti e i contenuti, solo poi entrano in gioco riflessione ed emozione, spesso suggerite o evocate proprio dall’autore che ha realizzato lo scatto.

Nel libro di Humes ci sono diversi strati di lettura. Superata l’analisi dell’immagine e del contesto, è interessante scoprire come il ruolo della donna muti tra le pagine del libro. A volte è protagonista, completamente integrata nel gruppo, come Rita Levi-Montalcini a una conferenza di scienziati nel 1986, anno del suo Premio Nobel, o Colette in una giuria di letterati francesi nel 1936, altre volte è figura di contorno, spesso anonima. Accade per esempio con le «mascotte», termine coniato dai francesi per definire giovani donne, scelte quasi sempre per la loro bellezza, come portafortuna per un gruppo (naturalmente di tutti uomini).

Un ruolo che forse può anche apparire lusinghiero, in cui però la figura femminile si definisce solo in quanto elemento decorativo fine a sé stesso. E dopo aver guardato «l’unica donna» è interessante soffermarsi sugli sguardi e le espressioni degli uomini che le sono accanto, sul grado di accettazione e di integrazione nel contesto. Molto fa anche la collocazione della figura femminile nell’immagine: centrale, in alto, o non importa dove, in modo molto più spontaneo e naturale.

Queste immagini parlano di una lentissima erosione di un modo di vivere il mondo al maschile, di potere e di patriarcato, ma sono anche espressione di un profondo desiderio di parità (anche maschile) e di emancipazione, di una nuova consapevolezza che passa attraverso il raggiungimento di un obiettivo fortemente voluto e felicemente conquistato. Sono donne che hanno lottato per essere incluse, per far valere e riconoscere il loro diritto di essere lì. È bello poterle vedere oggi tutte insieme, una dietro l’altra, e constatare ancora una volta come la fotografia vada molto oltre le sue capacità descrittive.

The Only Woman,
di Immy Humes, 240 pp., ill., Phaidon, New York 2022, € 24,95

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