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Finalmente si apre il Cabinet voluto dalla baronessa de Rothschild

Luana De Micco

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Dallo scorso primo luglio il Cabinet de curiosités della baronessa Adèle de Rothschild (1849-1922), all’11 di rue Berryer, vicino agli Champs-Élysées, si è aperto per la prima volta al pubblico. Qui il tempo sembra essersi fermato al 1800. La nobildonna fece allestire il Cabinet nella sua dimora signorile per conservare l’estrosa collezione di oggetti d’arte provenienti da tutto il mondo riunita con il marito, il barone Salomon de Rothschild, morto a soli 29 anni, nel 1864. Rimasta da sola, Adèle, che era appassionata d’arte e amica di artisti come Alfons Mucha, continuò ad arricchire la collezione. Alla sua morte lasciò tutto in eredità allo Stato francese, ma a due condizioni: che la dimora diventasse la sede di una fondazione a favore degli artisti e che il Cabinet fosse conservato immutato, così com’era stato al suo tempo. Le sue ultime volontà furono rispettate. Il palazzo divenne sede della Fondation Salomon de Rothschild, trasformata nel 1976 in Fondation Nationale des Arts Graphiques et Plastiques (Fnagp), la cui missione è di aiutare i giovani artisti fornendo loro borse di studio e atelier in cui lavorare.

E mentre i quadri della collezione furono distribuiti nei diversi musei francesi, il Cabinet, con tutti i suoi oggetti, fu lasciato intatto. «La nostra intenzione, ha spiegato Laurence Maynier, direttrice della Fnagp, non è richiamare migliaia di visitatori, ma permettere agli appassionati d’arte di scoprire un pezzo di storia perlopiù sconosciuto». Il Cabinet è aperto infatti solo il primo sabato e il secondo mercoledì di ogni mese e le visite si fanno in gruppi di massimo dieci persone, con la guida di uno storico dell’arte. «Dopo un primo periodo di prova, potremmo valutare l’idea di estendere l’apertura del Cabinet a altri giorni», ha precisato la direttrice. Laurence Maynier ci accompagna nella visita del Cabinet insieme a Eléonore Derisson, la storica dell’arte che ha seguito l’apertura di questo luogo segreto. Dopo aver percorso alcuni stretti corridoi, entriamo nello studiolo.

Le pareti sono rivestite con pregiate tappezzerie in cuoio di Cordova. Il soffitto è ricoperto da un arazzo del XVII secolo, opera di manifatture reali francesi. Le vetrate presentano tasselli fiamminghi del XVI-XVII secolo. La moquette del pavimento è quella originale dell’Ottocento. Tutto è stato restaurato in vista dell’apertura. Nelle vetrine che Adèle fece costruire su misura sono esposti gli oggetti più curiosi e stravaganti. Una collezione di giade cinesi, con una grande statua del Settecento di un Buddha della medicina, scolpito in un solo blocco di giada, è stata di recente prestata per una mostra al Musée Guimet. Sul caminetto è posato un bronzo che riproduce «L’astronomo» di Giambologna (fine XVI secolo).

Alle pareti ci sono moschetti sardi e un fucile turco Tüfek del XVIII secolo con l’impugnatura d’avorio intarsiato. In altre vetrine, due vasi a corno iraniani dell’Ottocento, antichi scettri cinesi in cristallo di rocca e porcellane di Sèvres dai delicati motivi. Su un tavolo, un servizio da scrivania veneziano del XVII secolo in legno di noce e madreperla. Per farsi luce nella penombra del cabinet e osservare i mille dettagli di ogni singolo oggetto, ai visitatori vengono distribuite piccole torce elettriche. Si può salire su appositi sgabelli per osservare da vicino gli oggetti posti più in alto. Per non rovinare la moquette, si fanno calzare delle babbucce.

Alla collezione appartengono anche un marmo di Auguste Rodin, «L’Orpheline alsacienne» del 1871, e un medaglione di ceramica a sfondo blu che ricorda lo stile della bottega dei Della Robbia: «Riscoprire questo oggetto mentre facevamo l’inventario è stata una bella sorpresa, ha osservato Eléonore Derisson. Lo sottoporremo all’analisi di un esperto. Noi, naturalmente, speriamo che sia un originale».

Luana De Micco, 03 settembre 2017 | © Riproduzione riservata

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