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Veronica Rodenigo
Leggi i suoi articoliDopo «L’ossessione nordica», conclusasi il 22 giugno scorso (cfr. n. 339, feb. ’14, p. 28), Giandomenico Romanelli torna a Palazzo Roverella con la mostra «Il demone della modernità»: 170 lavori (di cui circa 90 dipinti) realizzati, così come recita il sottotitolo, da «pittori visionari» che caratterizzarono «l’alba del secolo breve». Sei sezioni (Sotto il segno di Lucifero; Luoghi dell’illuminazione e ziggurat dell’anima; Angeli e demoni. Sogni, incubi, visioni; Trionfo delle tenebre. Verso l’olocausto mondiale; Altre metamorfosi; Lucifero tra i grattacieli) dal 14 febbraio al 14 giugno indagano temi e inquietudini tra fin de siècle e gli anni Trenta del ’900. Un arco cronologico definito dal curatore «spazio di mezzo» dominato da una forza visionaria, che partendo dal Simbolismo francese anima un percorso nel quale s’incontrano Max Klinger, Franz Von Stuck, Böcklin, personalità meno note (come i croati Mirko Ra?ki, Bela Csikos Sesia e il lituano Mikalojus Konstantinas ?iurlionis), Alberto Martini, Guido Cadorin, Astolfo De Maria e Gennaro Favai. Tra i prestatori, figurano molte collezioni private ma anche Ca’ Pesaro, la Pinacoteca Nazionale di Zagabria, il Metz Métropole, il Museo Civico di Dresda, la Casa museo Moreau di Parigi e la Pinacoteca civica Alberto Martini di Oderzo.
Professor Romanelli, perché l’insistenza su questo specifico arco temporale?
Perché è una stagione particolarmente fertile e a mio avviso estremamente eloquente di una ricerca svolta da artisti singoli o da gruppi con alcuni «fuochi fondamentali». Monaco rimane al centro di una serie di travagli spirituali, oltre che di esperienze estetiche. Pur partendo quindi da un grande artista francese, Gustave Moreau, e da una costola del simbolismo europeo, l’iter si dirama sulla linea tedesca e austro-tedesca dell’ex Impero austro-ungarico aprendosi anche ad altre esperienze.
In effetti sono esposte anche opere di artisti non particolarmente noti.
Ad esempio, proponiamo ?iurlionis che è, al contempo, il più grande pittore e musicista lituano. La scelta è legata alla necessità fondamentale di far conoscere cose nuove. Le nostre non sono mai mostre di riconoscimento di capolavori che già fanno parte del bagaglio del viaggiatore colto o attento bensì esposizioni che aprono gli occhi e fors’anche stupiscono. Per quanto riguarda ad esempio Diefenbach, presente con sei lavori, egli trascorre l’ultima parte della sua vita a Capri nel mondo più colto e trasgressivo del primo Novecento e nella sua esperienza artistica, esistenziale ed esoterica, anticipa l’esperienza di Monte Verità di Ascona. Questo spiritualismo spinto ed estremamente elitario, che percepisce suggestioni molto diffuse (occultismo, spiritismo), diventa per noi testimonianza estetica di grandissima originalità e importanza.
Che cosa accomuna gli artisti proposti?
Il progetto mira a sottolineare come tutti questi artisti seguano la modernità che urge, che incombe, che viene riconosciuta e proposta sotto forme nuove. La mostra chiude difatti con il veneziano Gennaro Favai, sempre trattato come un vedutista attardato. Noi non proponiamo Venezia bensì una decina di pezzi, fra tele e disegni, che ritraggono la New York degli anni Trenta. Favai vi arriva a bordo di un piroscafo italiano nel 1930, in piena crisi del ’29, e documenta con un gruppo di tele e un quadernetto di appunti questo strepitoso, incredibile cantiere: la città statunitense strappa a Parigi il ruolo di grande metropoli della modernità e diventa la metropoli del futuro.
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