Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
È Louise Nevelson (Louise Berliawsky, nata a Kiev, Ucraina, nel 1899 e scomparsa a New York nel 1988, americana di formazione e d’adozione) la protagonista della mostra proposta da Cortesi Gallery dal 16 febbraio al 7 aprile. «Louise Nevelson. Assemblages e Collages 1960-1980», curata da Bruno Corà e realizzata in collaborazione con Fondazione Marconi di Milano, presenta 29 opere di questa figura di primo piano nell’arte del secolo passato.
La Nevelson seppe trasportare i materiali di recupero più feriali in una dimensione estetica e poetica, assemblandoli con infallibile equilibrio compositivo e rivestendoli poi di un manto monocromo, in prevalenza nero o oro che, grazie al gioco delle luci e delle ombre, ne potenzia al massimo grado l’aspetto evocativo. Come rammenta il titolo, in mostra figurano i suoi celebri assemblage (fatti di gambe di tavoli, schienali di sedie, fregi di mobili, colonnine: tutti oggetti di fattura modesta e dozzinale), nei quali l’autrice rielabora, in totale autonomia, le poetiche del New Dada e dell’astrattismo, impollinandole con la sua passione per le culture precolombiane e mesoamericane, conosciute per la prima volta in un viaggio in Messico nel 1950.
Un’inedita miscela, dalla quale scaturiscono opere inconfondibili, di assoluta originalità. Insieme, sono esposti i collage, che l’artista prese a creare dalla metà degli anni Cinquanta. Realizzati su supporti cartacei o lignei, anche questi lavori si avvalgono di materiali di scarto, ricombinati con un’attenzione all’intersecarsi dei piani prospettici che prova la sua conoscenza di prima mano del Cubismo (giunta negli Stati Uniti a sei anni con la famiglia, in fuga dalle leggi antisemite del suo Paese d’origine, Louise Nevelson avrebbe poi viaggiato con frequenza in Europa), da lei rivisitato, però, con un personale cromatismo.
Altri articoli dell'autore
In occasione dell’Olimpiade Culturale Milano Cortina 2026 il museo milanese presenta «la più grande istallazione mai realizzata dall’artista giapponese»
L’opera fu realizzata da Giuseppe Grandi in 13 anni di lavoro, ritardato anche dalle difficoltà tecniche nella fusione delle grandi figure, e fu presentata al pubblico, appena terminata, il 6 dicembre 1894
Alberto Salvadori, direttore della Fondazione Ica Milano, ci guida nei due nuovi progetti espositivi delle due artiste che lavorano con media diversi
A Palazzo Borromeo d’Adda un percorso che riannoda i fili della Milano romantica, tra opere celebri e riscoperte inattese



