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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliIl grido di dolore di La Regina per il Sannio, dove ci sono i resti di uno straordinario santuario
Su quelle pendici appenniniche nel Molise, a pochi km dal confine abruzzese, i Sanniti resistettero strenuamente all’invasione romana. Un viandante nell’affascinante santuario sannita di Pietrabbondante potrebbe perfino fantasticare su memorie dall’antica Grecia: vanta un teatro superbo, resti di templi e di tabernae, rocchi di colonna recuperati da edifici nel paesino omonimo. Qui l’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte (Inasa) con sede a Roma a Palazzo Venezia, ha appena finito di restaurare il Portico delle offerte votive della domus publica che, da questo ottobre, entra a pieno titolo nel percorso aperto ai visitatori.
Nel 2014-15 la Regione Molise, con fondi Ue e tramite il Comune, ha stanziato 427mila euro per scavi e restauri e suona come una storia lieta se non fosse che sul 2016 e gli anni a seguire grava un’incertezza finanziaria impedendo ogni pianificazione seria, avverte Adriano La Regina, già storico responsabile della Soprintendenza archeologica statale di Roma e ora guida dell’Inasa.
«A un’altitudine di mille metri il santuario domina gran parte del cuore del Sannio, lo Stato che più si oppose a Roma, racconta dal sito molisano dove conduce gli scavi. Non molto diverso dai grandi santuari greci di Delfi e Olimpia, aveva una funzione sacra e pubblica: destinato a numerosi culti e non a una sola divinità, era diverso da altri santuari appenninici dedicati a divinità tradizionali come Ercole o legate alla natura o all’agricoltura». Qui, osserva l’archeologo, i Sanniti celebravano culti come quello della vittoria, dell’Ops consiva (divinità dell’opulenza e dell’abbondanza) e di Onos (dell’onore).
«Il santuario si sviluppò già nel IV secolo a.C. e per almeno quattro secoli ebbe un ruolo centrale». Attraversò momenti difficili. Quando i Sanniti resistettero ad Annibale, anche in difesa di Roma, le truppe del condottiero «devastarono questo luogo nel decennio dal 217 al 207 a.C.». Pietrabbondante si risollevò e costruì «notevoli architetture di carattere ellenistico, un teatro molto raffinato, un grande tempio in asse col teatro, una vasta residenza tipo quelle pompeiane».
E nella domus publica, insiste La Regina, si annida la sua unicità: «A Roma era nel foro, adiacente al tempietto circolare di Vesta e alla casa delle Vestali, era la residenza ufficiale del pontefice massimo, ma sono sopravvissuti pochi resti; altrove edifici sono stati interpretati come domus publicae, ma nessuno lo è per certo; qui invece si è perfettamente mantenuto, i resti votivi ne hanno confermato la sacralità: ricordo che una domus publica presuppone un culto di Stato e la residenza del sacerdote principale».
Poggiato su un declivio, il sito sannita misura mediamente 300 per 300-350 metri; il teatro ha un fronte di una cinquantina di metri; il tempio, esplorato solo in parte, ha un podio alto 23 metri. Resta molto da scoprire. E qui La Regina intona note preoccupate: «Lavoriamo due mesi ogni estate con 60-70 volontari che costano pochissimo e ricevono vitto e alloggio in una scuola comunale dismessa; per i restauri spendiamo in media 200mila l’euro l’anno. Sono investimenti contenuti, danno conoscenza storica, hanno riflessi economici locali perché il sito attira un turismo qualificato e scuole del sud, ma il Molise, pur avendo paesaggi molto belli, è fuori dal grande flusso. Proprio in luoghi come Pietrabbondante i fondi dovrebbero venire erogati con continuità in modo da programmare gli anni successivi». Invece, contesta La Regina, si adottano altre logiche: «Non serve affatto concentrare per tre anni 105 milioni su Pompei per rispondere a fatti sensazionali e mediatici: era più giusto distribuire i finanziamenti in altri comprensori, magari nella stessa Campania, che ne hanno un bisogno estremo».
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