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Anny Shaw
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Le terribili condizioni dei migranti ispirano una risposta umanitaria creativa
Il mese scorso Ai Weiwei ha presentato una nuova opera che porta l’attenzione sulle crisi umanitarie in Europa e ai suoi confini. L’artista cinese, che ha uno studio sull’isola greca di Lesbo, ha installato «Tear Bottle/Tear Gas Canister» (2016) nella collezione del Museo di arte cicladica di Atene, affiancando dieci bombolette di gas lacrimogeno usato contro i rifugiati del campo di Idomeni, al confine con la Macedonia (dove il 24 maggio è iniziato lo sgombero forzato di migliaia di profughi), ad antichi contenitori greci utilizzati per raccogliere le lacrime delle persone in lutto. Tra le altre opere nella mostra «Ai the Cycladic» (fino al 30 ottobre), anche «Iphone Wallpaper» (2016), un collage di 12.030 immagini di persone che cercano asilo scattate con lo smartphone.
«Mi sento come se fossi caduto in un profondo buco nero», ha detto Ai dopo la sua prima visita a Lesbo, luogo di sbarco in Europa di circa l’80% dei rifugiati. «Stavamo guidando vicino al mare e ho visto una barca vuota sull’acqua. Sono saltato giù dalla macchina e sono salito su questa imbarcazione mezza affondata. Ci sono rimasto per un po’. E ho deciso di spostare il mio studio a Lesbo».
Il MoMA di New York è l’ultima istituzione a unirsi al dibattito sulla crisi dei rifugiati, che finora è stata vista come un problema soprattutto da Medio Oriente ed Europa ma non dagli Usa. Una serie di film dell’artista franco-marocchina Bouchra Khalili, che mappano il viaggio di otto immigrati clandestini, è in mostra fino al 28 agosto, mentre aprirà in ottobre una mostra dedicata all’architettura dei centri d’accoglienza. «Il 2016 potrebbe essere un anno decisivo per tutti noi», ha affermato il direttore Glenn Lowry, sottolineando che gli artisti si stanno confrontando da anni con le conseguenze della migrazione di massa. Cita «The Mapping Journey Project» (2008-11) della Khalili: i film mostrano i rifugiati che tracciano il loro percorso con un pennarello nero su una mappa geopolitica, mentre raccontano le loro storie personali.
Alcuni musei europei sono all’avanguardia nel sostegno ai rifugiati avendo lavorato direttamente con i migranti molto prima dell’attuale crisi: il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek, in Danimarca, ad esempio ha iniziato il suo progetto «Travelling with Art» nel 2006. Propone corsi d’arte ai bambini rifugiati in collaborazione con la Croce Rossa danese. Il focus del progetto è cambiato negli ultimi anni, spiega il suo supervisore Line Ali Chayder. Nel 2006 la maggior parte dei minori che arrivavano avevano tra gli 8 e i 12 ed erano con la propria famiglia. Oggi, molti sono soli e hanno tra i 16 e i 18 anni.
Olafur Eliasson, artista danese-islandese, ha creato un progetto intitolato «Green Light», in collaborazione con il Thyssen-Bornemisza Art Contemporary (TBA21) di Vienna, invitando rifugiati, migranti e studenti locali a partecipare a workshop su come costruire lampade a partire da materiali riciclati (fino al 5 giugno). «Green Light è un gesto di accoglienza, dice Eliasson. Lavorando insieme in un contesto artistico, i partecipanti costruiscono una luce ma anche un ambiente comunitario». Le lampade, fatte con vasetti di yogurt, sacchetti di plastica, nylon e led al neon verdi, costano 300 euro. Il ricavato sostiene la Croce Rossa di Vienna e altri progetti per i rifugiati austriaci.
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