Aste in tempo di guerra

Le crisi finanziarie del 2008 e del 2016 avevano influito sulle quotazioni che si trovavano in forte espansione. Il recupero nel primo caso era stato rapido, nel secondo è ancora incompleto dopo sei anni. Ora le grandi case d’asta appaiono preoccupate di bruciare i top lot milionari

Helena Newman, chairman di Sotheby’s Europa, aggiudica per 59,4 milioni di sterline «L’empire des lumières» (1961) di René Magritte  Cortesia di Sotheby’s. Foto Haydon Perrior
Alberto Fiz |

Nel 1990 la guerra del Golfo mandò in frantumi i sogni di molti collezionisti colpendo violentemente soprattutto i valori degli americani, da Mark Rothko ad Andy Warhol. Ora l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, il dramma umanitario e i nefasti riflessi sull’economia del continente sembrano non aver scalfito il mercato dell’arte. Ma sarà proprio così? In apparenza le aste londinesi, che hanno avuto luogo pochi giorni dopo l’inizio del conflitto, sono apparse soddisfacenti con risultati allineati alle previsioni.

Nella prima settimana di marzo l’arte impressionista, moderna e contemporanea ha fatturato 631 milioni di dollari (571 milioni di euro). Di questa somma Christie’s (che rispetto alla rivale poteva contare sulla vendita dei surrealisti) ha preso la fetta più grande con 334 milioni di dollari (302 milioni di euro), mentre Sotheby’s ne ha fatturati 297 (268 milioni di euro). Il 2 marzo, nella sede di New Bond Street, si è assistito al trionfo di «L’empire des lumières» e la più grande opera della famosa serie dipinta da René Magritte con la notte e il giorno che s’invertono, è stata acquistata per 59,4 milioni di sterline (71,5 milioni di euro), tre volte al di sopra del record precedente raggiunto dal maestro belga quattro anni fa. Nella stessa occasione poi «Garrowby Hill», un paesaggio di David Hockney, si è imposto per 14 milioni di sterline (16,7 milioni di euro).

Nonostante ciò, da Sotheby’s non tutto è andato per il verso giusto e una star assoluta del mercato come Claude Monet, sovraesposto in asta, ha inanellato una delle sue performance più deludenti. Non solo «Les Demoiselles de Giverny», con una serie di covoni che sembrano danzare in una distesa verde, è stato ritirato poco prima dell’asta (i listini online lo hanno cancellato senza lasciare traccia) sebbene avesse una valutazione di 15-20 milioni di sterline (18-24 milioni di euro), ma una versione non certo memorabile delle «Ninfee» ha cambiato proprietario per 23,2 milioni di sterline (27,6 milioni di euro), cifra che riporta indietro i valori di alcuni anni. Non ha brillato nemmeno Picasso e un suo ritratto del 1928, «Buste de femme accoudée gris e blanc», è stato aggiudicato per 11,9 milioni di sterline (14 milioni di euro) rispetto a una valutazione massima giustamente posizionata a 15 milioni di sterline (18 milioni di euro).

Ben otto le opere degli artisti italiani (nove considerando la fetta di torta di Domenico Gnoli aggiudicata per 2,4 milioni di sterline), tra cui tre lavori di Lucio Fontana venduti rispettando le previsioni. Degli altri quattro, un «Achrome» di Piero Manzoni proposto a 1,3-2 milioni di sterline (1,5-2,4 milioni di euro) è stato ritirato prima della gara, mentre «Guerriero» di Marino Marini, in vendita con una favorevole stima di 250-350mila sterline, è tornato al proprietario iniziale. È poi passato sotto silenzio il clamoroso invenduto di «Legno Nero Rosso» di Alberto Burri che misura 130x200 cm, valutato 3-4 milioni di sterline (3,5-4,7 milioni di euro).

La richiesta si basava sul fatto che nel 2016 da Phillips a Londra «Legno» (50x100 cm) aveva cambiato proprietario per quasi 2 milioni di sterline (2,3 milioni di euro). In questo caso, invece, del compratore non c’è stata traccia. Appena 693mila sterline (825 mila euro) per un dipinto futurista di Gino Severini, somma di poco superiore a «Utile verifica» di Enrico Castellani, storica superficie estroflessa bianca del 1971 (179,9x179,9 cm) che ha chiuso la gara a 630mila sterline (750 mila euro), circa la metà rispetto a quanto avrebbe potuto realizzare tra il 2015 e il 2016.

Solo due le opere degli italiani proposte da Christie’s a Londra durante la vendita del primo marzo: Mario Schifano ha confermato il trend ascendente iniziato nel 2019 che gli ha consentito di raggiungere 882mila sterline (1 milione di euro), il doppio della stima, per «Grande particolare», un paesaggio minimalista del 1963, mentre Alighiero Boetti, che è tra i leader del mercato, non ha soddisfatto il proprietario; «Immagine e somiglianza», un classico lavoro con la penna biro del 1976 (99,4x209,7 cm) è stato aggiudicato per 327mila sterline (390mila euro), leggermente al di sotto della cifra raggiunta nel 2015, quando da Christie’s a Londra la medesima opera era arrivata a 338mila sterline (400mila euro).

Ma il fiore all’occhiello di un’asta che ha raggiunto 182 milioni di sterline (217 milioni di euro) è il record del capolavoro di Franz Marc «The Foxes» venduto a Guy Agazarian, rampollo di una celebre famiglia d’industriali britannici, per 42,6 milioni di sterline (50,8 milioni di euro) polverizzando il primato precedente che resisteva dal 2008, quando da Sotheby’s a Londra «Cavalli al pascolo» aveva cambiato proprietario per 12,3 milioni di sterline (14,6 milioni di euro). Positivo anche l’andamento di Lucian Freud e il poetico «Girl With Closed Eyes», mai passato in asta prima d’ora, è stato aggiudicato per 15,1 milioni di sterline (18 milioni di euro) raggiungendo le stime massime.

Anche tra i big però non sono mancate le delusioni. Se era prevedibile la stanchezza per una serie di opere tardive di Picasso, appare assai meno scontata la fiacca prestazione di Francis Bacon con un «Trittico» tra i più celebri dove compare persino un riferimento quanto mai attuale a Leon Trotsky, l’oppositore di Stalin nato in Ucraina e assassinato nel 1940. Ebbene, l’opera è stata battuta per 38,4 milioni di sterline (46 milioni di euro) rimanendo a un soffio dal prezzo di riserva. Si tratta di uno dei valori più bassi fatti registrare da un suo «Trittico» durante l’ultimo decennio. Basti ricordare che nel 2020, in pieno lockdown, un altro «Trittico» ispirato all’Orestea di Eschilo si è imposto da Sotheby’s a New York per 84,5 milioni di dollari (76,5 milioni di euro).

Nemmeno il mercato dell’arte appare indifferente alla situazione mondiale. Non a caso le major oggi sono molto prudenti nell’annunciare la nuova configurazione delle vendite previste a maggio, sebbene da Christie’s sia spuntata una «Marilyn» di Andy Warhol da 200 milioni di dollari, e appaiono assai preoccupate di bruciare i top lot milionari. L’andamento delle aste londinesi ha dato segnali chiari rispetto a un mercato che si sta muovendo su un duplice binario: da un lato vengono premiati i capolavori dell’arte moderna che hanno le stimmate dell’unicità (i due casi di Magritte e Marc sono emblematici) e dall’altra è in atto un’operazione speculativa mai così accelerata sugli artisti della nuova generazione sostenuti dai millennial.

La clamorosa ascesa della trentaduenne britannica Flora Yukhnovic, rappresentata dalla galleria Victoria Miro, che da Sotheby’s a Londra è passata da 200mila a 2,2 milioni di sterline (2,6 milioni di euro), è solo la punta dell’iceberg di un mercato che necessita di nuova linfa a costo di proporre prodotti effimeri, secondo quanto è avvenuto in passato con il boom dei cinesi successivamente imploso. Ma questi sono fenomeni mediali che gettano fumo negli occhi e si frappongono a un’analisi più rigorosa. Le due ultime crisi finanziarie del 2008 e del 2016 hanno influito sulle quotazioni delle opere d’arte che in entrambi i casi si trovavano in una fase di forte espansione. La ripresa, però, è apparsa rapida, soprattutto nel primo caso.

I valori di sei anni fa, invece, in molte circostanze, non sono ancora stati recuperati, come accade per la Pop art o per l’arte italiana degli anni Sessanta dipendente dallo Spazialismo, dal Riduzionismo e da Lucio Fontana. Diverse le condizioni di oggi con il conflitto ucraino giunto dopo la pandemia, con un mercato che aveva già espulso le tossine e appariva lontano dai vertici. Rispetto al passato, poi, vanno prese in considerazione alcune novità significative quali l’espansione dell’online, l’ingresso dei giovani criptomilionari e la forza sempre maggiore dei collezionisti asiatici che intervengono su tutte le fasce del mercato condizionando anche gli under 40. Non sono trascurabili (o almeno non lo erano sino a febbraio) nemmeno gli oligarchi russi trattati coi guanti dalle major tanto che le prese di distanza nei loro confronti appaiono alquanto titubanti.

Tutto ciò non mette ai ripari da ulteriori scossoni (rilevare i risultati delle aste è sempre più difficile tenendo conto che gran parte delle aggiudicazioni sono determinate dalle garanzie), ma in linea generale le quotazioni sono destinate a rimanere stazionarie nei prossimi mesi con qualche ulteriore flessione per le opere mediocri delle firme blasonate. La fase di stagnazione potrebbe tuttavia rappresentare un’ottima occasione per gli investitori alla ricerca di sottovalutati trascurati dalla storia (la Biennale rappresenterà sicuramente un ottimo piattaforma per nuove scoperte) o per chi saprà muoversi controcorrente. Gli anni Ottanta, per esempio, sono ancora in stand by.

Guerra Russia-Ucraina 2022

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