Una veduta della mostra «Anish Kapoor» (2022), Palazzo Manfrin, Venezia. Cortesia di UNA studio © Melania dalle Grave, DSL studio

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Una veduta della mostra «Anish Kapoor» (2022), Palazzo Manfrin, Venezia. Cortesia di UNA studio © Melania dalle Grave, DSL studio

Anteprima della Fondazione nel Palazzo Kapoor

L’architetto Giulia Foscari, autrice del progetto di restauro di Palazzo Priuli Manfrin che dal 2024 sarà sede della Kapoor Foundation, ha allestito nel cantiere una delle mostre dell’artista anglo-indiano

Nella sua doppia apparizione veneziana, Anish Kapoor è in mostra nelle Gallerie dell’Accademia e, con opere della sua più recente produzione, nel settecentesco Palazzo Priuli Manfrin, visitabile fino al 9 ottobre nel pieno del suo cantiere di restauro, che si concluderà nel 2024. Il progetto architettonico del palazzo, destinato a centro culturale ed espositivo della Kapoor Foundation, è stato affidato allo studio UNA, fondato e diretto da Giulia Foscari che ha curato anche il progetto dell’allestimento della mostra nelle due sedi.

Architetto Foscari, qual è la storia di Palazzo Manfrin?
Il palazzo scelto da Kapoor come sede del Manfrin Project e, possibilmente, della sua stessa produzione artistica, è il risultato di uno processo metamorfico durato cinque secoli. In origine era la dimora dei Priuli, che nel corso del ’500 hanno dato due dogi alla Repubblica di Venezia. Anche se di un ramo diverso da quello dogale, i Priuli di Cannaregio hanno conosciuto una crescita economica e politica sullo scenario veneziano e la casa da loro occupata si è accresciuta generazione dopo generazione. Giunti al colmo della loro affermazione, un architetto allora poco conosciuto come Andrea Tirali ha ridefinito l’assetto della loro dimora. Ha quindi svuotato il cuore della fabbrica antica per realizzare un salone a doppia altezza (quale Palladio aveva sognato invano di realizzare a Venezia) e ha articolato il palazzo attorno a un vuoto sul modello dei cortili «alla romana». Non meno sorprendente è la facciata, tutta in pietra d’Istria di assoluto biancore, che gli storici hanno definito un esempio di «protorazionalismo». Nel secondo ’700, estinti i Priuli, la modernità arriva nel palazzo con un imprenditore spregiudicato e intraprendente. Girolamo Manfrin aveva il monopolio della produzione dei tabacchi per la Repubblica e una passione per l’arte che lo aveva indotto a esporre nel palazzo capolavori che sono confluiti in buona parte nelle Gallerie dell’Accademia. Fino alla metà del secolo scorso il palazzo fu poi occupato da un istituto religioso, per poi passare al Comune di Venezia, alla Regione Veneto e infine alla Cassa Deposito e Prestiti, senza più trovare una sua specifica destinazione d’uso.
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Che cosa prevede il suo progetto?
In un ambito come quello intorno al canale di Cannaregio (che in passato non ha visto la costruzione dell’ospedale progettato da Le Corbusier e non ha saputo accogliere la proposta di Peter Eisenman per le sue aree inedificate), ci è parso ineludibile accettare la sfida di trasformare un palazzo veneziano di oltre 5mila metri quadrati di superficie in un laboratorio di sperimentazione ed esposizione d’arte, quand’anche queste fossero di peso e scala del tutto inusuali per Venezia come sono quelle di Anish Kapoor. Il progetto ha quindi inteso avviare una nuova fase di metamorfosi del palazzo preservandone tuttavia lo stato di rovina che attesta il degrado indotto da decenni di abbandono. Integrando progettazione e preservazione, l’intervento lascia in evidenza le tracce della storia del palazzo dilapidato, favorendo condizioni irriproducibili di grande intensità e intimità con le opere esposte. E interviene sull’assetto originario per far fronte a esigenze specifiche di curatela e programmazione.

Già oggi il palazzo appare in parte trasformato.
Uno degli interventi più significativi è stato quello di liberare il piano terreno da ogni superfetazione o impedimento, non solo per dare accessibilità a opere di grande dimensione, ma anche per indurre i cittadini a ritenere questi spazi e queste opere come elementi qualificanti della loro quotidianità. In questo senso la creazione di un’autonoma galleria di inaspettate proporzioni (inaugurata in occasione della mostra in corso), un bookshop che sarà accessibile indipendentemente dalla fondamenta e spazi di accoglienza con caffetteria, connessi al parco pubblico, sono elementi fondamentali del nostro progetto. Sempre al piano terreno (ammaestrati da quanto era capitato a Leo Castelli che aveva visto il pavimento della sua prima galleria collassare sotto il peso di un’opera di Richard Serra) abbiamo rafforzato la portata della pavimentazione, connettendo questo intervento alla realizzazione di un sistema di protezione dalle cosiddette acque alte fino a una quota di 2,10 metri sul medio mare. È un intervento che non potevo non prevedere dopo aver presentato, nella Biennale dell’anno scorso, una ricerca condotta con Unless sul minaccioso scioglimento dei ghiacci dell’Antartide.
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Ci parla dell’attuale esposizione?
Abbiamo considerato con apprensione, in un primo momento, l’idea di aprire una mostra in concomitanza con la Biennale curata da Cecilia Alemani. Le incognite dettate dalla pandemia, dall’irreperibilità di impalcature e dalla difficoltà nell’approvvigionamento dei materiali rendevano quasi impossibile il programma di aprire il cantiere al pubblico a meno di otto mesi dall’inizio dei lavori. È stato l’entusiasmo che questa iniziativa ha infuso a tutta la squadra impegnata nel progetto (che ha visto accanto al nostro studio d’architettura UNA, gli studi FWR Associati diretto da Antonio Foscari, Tte, Esa, Gad e Girello) a consentirci di affrontare con l’impresa Sacaim problematiche che sembravano insuperabili e a consegnare per tempo il piano terreno e il primo piano del palazzo al team che avrebbe installato la mostra di Kapoor curata da Taco Dibbits, seguendo il progetto di allestimento da noi elaborato sia per le Gallerie dell’Accademia che per Palazzo Manfrin. Per esaltare la condizione di «work in progress» in quest’ultima sede espositiva, l’allestimento fa uso di materiali di cantiere come pannelli di legno truciolare, cartongessi lasciati a vista, impianti elettrici con canaline metalliche esterne e luci da cantiere.

Quando terminerà il restauro del palazzo?
Alla fine dell’esposizione riprenderemo i lavori che stimiamo possano terminare entro il 2024. Quando sarà ultimata anche la costruzione di una nuova scala esterna, in affaccio su Parco Savorgnan, saranno agibili anche il secondo e il terzo piano perfezionando così il programma del Manfrin Project, una struttura di ricerca e di produzione d’arte diretta da Mario Codognato, che si integrerà con i sistemi museali della città di Venezia perseguendo un obiettivo che la Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici ha fin dall’inizio auspicato e che l’Amministrazione Comunale di Venezia ha definito «di interesse pubblico».
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Una veduta della mostra «Anish Kapoor» (2022), Palazzo Manfrin, Venezia. Cortesia di UNA studio © Melania dalle Grave, DSL studio

Il cantiere di Palazzo Manfrin in occasione dell'allestimento della mostra «Anish Kapoor» (2022)

Una veduta della mostra «Anish Kapoor» (2022), Palazzo Manfrin, Venezia. Cortesia di UNA studio © Melania dalle Grave, DSL studio

Alessandro Martini, 27 maggio 2022 | © Riproduzione riservata

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Anteprima della Fondazione nel Palazzo Kapoor | Alessandro Martini

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