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Lucio Fontana e Teresita a Venezia, 1950

© Foto Staeske Rebers

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Lucio Fontana e Teresita a Venezia, 1950

© Foto Staeske Rebers

Addio a Nini Ardemagni Laurini, anima della Fondazione Lucio Fontana

È scomparsa a Milano il 24 novembre, all’età di 96 anni. Riportiamo i ricordi di Claudia Dwek e Silvia Ardemagni e ripubblichiamo un’intervista uscita su «Il Giornale dell’Arte» n. 347, novembre 2014 in cui racconta la nascita e l’attività della Fondazione

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Claudia Dwek, presidente Sotheby’s Italia e Contemporary Art Europe: «Oggi è un giorno molto triste, ci lascia una grande donna, Nini Laurini. Nini è stata per me e tante persone della mia generazione un faro, un grande esempio di solidità, integrità, coerenza e devozione assoluta nel suo impegno con la Fondazione Lucio Fontana. La serietà del suo lavoro ha contribuito, con Teresita Fontana e Valeria Ernesti, alla divulgazione e alla valorizzazione dell’artista in Italia e nel mondo. Generosa, spiritosa, saggia, contemporanea, visionaria, docile e testarda, ragionevole ed autorevole, presenza costante e discreta, grande amica sia nei momenti belli sia in quelli difficili. Mi mancherà moltissimo e mancherà al mondo della cultura italiana. Con immenso affetto, Claudia».

Anche Silvia Ardemagni, attuale presidente della Fondazione Lucio Fontana, ricorda Nini Ardemagni Laurini: «La personalità di Nini e la sua grande forza hanno lasciato una traccia profonda in tutti coloro che hanno condiviso con lei percorsi di vita e di lavoro. I ricordi risalgono alla mia infanzia e agli anni del suo impegno civile che a fianco di Graziano, suo marito, si intrecciavano con una intensa vita sociale nel mondo dell’arte e della cultura, negli studi di artisti, scrittori e intellettuali. Un mondo ricco di idee e di pensieri in cui sono cresciuti i suoi figli Marco e Paolo e che ha fatto di lei la donna che tutti abbiamo conosciuto. La sua amicizia con Lucio e Teresita Fontana ha radicato in Nini la volontà e il desiderio di collaborare all’impegno della Fondazione Lucio Fontana di cui è stata Presidente per oltre quindici anni. Durante il lungo periodo che ci ha visto collaborare, abbiamo vissuto, lavorato, costruito, discusso e riso. Tutto questo è stata un'esperienza di formazione umana oltre che lavorativa e un grande privilegio. È nel solco dei suoi insegnamenti che guiderò la Fondazione con rigore, passione e lo sguardo sempre proiettato verso il futuro così come Paolo Laurini ha fatto prima di me».

Ripubblichiamo un’intervista uscita su «Il Giornale dell’Arte» n. 347, novembre 2014.

Per celebrare la festa della Repubblica, il 2 giugno scorso, la nostra Ambasciata a Parigi ha affidato il ruolo di portabandiera dell’Italia a Lucio Fontana, esponendo nel magnifico palazzo di rue de Varenne tre sue grandi opere. La retrospettiva in corso al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris sta del resto riscuotendo un tale successo che Fontana è diventato un sorta di «personaggio dell’anno» in una città come Parigi, che lui amava moltissimo, e che gli è stata a sua volta amica, ma che ben raramente è tenera con gli artisti nati fuori dalla Francia. Il merito di tanto successo va ovviamente in primo luogo alla sua arte e l’impegno della Fondazione Lucio Fontana, che promuove in tutto il mondo la sua opera e la protegge da ogni possibile attacco, ha contribuito al riconoscimento del suo lavoro sia sul piano artistico che economico. A Milano, al Museo del Novecento, è in corso fino al 15 marzo la mostra «Klein Fontana. Milano Parigi 1957-1962».

A presiedere la Fondazione è Nini Ardemagni Laurini, una signora minuta ed elegante, apparentemente fragile, in realtà d’acciaio, amica fraterna per molti anni dei Fontana ma della moglie Teresita soprattutto. La incontrai per la prima volta nel 1999, anno in cui, insieme con Valeria Ernesti, concepì con determinazione ed entusiasmo cinque mostre milanesi per celebrare il centenario di Lucio Fontana.

Signora Laurini, partiamo proprio da Teresita. Di lei si parla poco, eppure è stata il motore della Fondazione. Che tipo di compagna di vita è stata per Fontana?

Teresita era una persona schiva e riservata, che viveva all’ombra del marito. Ricordo che a ogni inaugurazione passavo a prenderla nel suo negozio di modista perché da sola lei non ci sarebbe andata. Fontana, invece, con quel suo piglio da gaucho, era un uomo estroverso, disponibilissimo e curioso intellettualmente. Strinse amicizia con tanti artisti in Italia e in Europa, scambiando opere con Castellani e Melotti, con Yves Klein, con gli artisti dei gruppi Zero e Nul e con molti altri ancora. Tante di quelle opere fanno parte ancora oggi del patrimonio della fondazione. Parigi era la sua meta preferita. Conosceva tutti, da Tapié a Iris Clert, da Restany a Klein e sua moglie Rotraut. Lucio e Teresita erano molto diversi ma la loro vita in comune ha retto a tante vicissitudini (si erano conosciuti nel 1929-30, quando lui lavorava nello studio di Melotti in via General Govone, vicino all’atelier dove lei era apprendista). Lucio stimava molto la moglie e ha saputo dimostrarlo soprattutto quando nel 1968, anno della sua morte, la lasciò erede universale del suo patrimonio artistico. E fu allora che Teresita mostrò qualità che sino ad allora aveva sempre nascosto, forse per lasciare a lui la luce dei riflettori: accompagnata dagli amici collezionisti, seppe dar vita prima all’Archivio (i primi numeri sono del 1969-70), poi alla Fondazione Lucio Fontana, superando tutti gli ostacoli che incontrò, battendosi come una leonessa per tutelare il lavoro di Lucio.

Fontana era tutt’altro che un «pensatore», eppure ha lasciato un’opera tra le più filosofiche del tempo. Raccontava mai come fosse arrivato a quegli esiti così radicali?

Fontana era un istintivo, un pensatore atipico che si fidava molto delle sue intuizioni. Decise di lasciare l’Argentina perché là, diceva, si sentiva «costretto, imprigionato». Cercava, nella vita come nell’arte, una sorta di «liberazione», una dimensione nuova di libertà e di luce (lo prova anche la fotografia famosa scattata nella galleria di Cardazzo, con il suo quadro, in vetrina, attraversato dalla luce). Non rispecchiava certo il classico modello di intellettuale né di teorico, e a dispetto dei manifesti che firmò era un creativo che si annoiava a scrivere. Era molto intelligente, prensile, capace di capire immediatamente la realtà. Aveva una cultura non accademica ma solida e vasta, frutto della sua famelica curiosità intellettuale, e anche il suo modo di esprimersi in una lingua che a volte coniugava milanese, spagnolo, francese, faceva parte del suo fascino. Che poi le donne lo amassero molto è una realtà, ma la donna della sua vita è stata Teresita.

I primi riconoscimenti Fontana li ottenne all’estero. In Italia qual era il clima intorno al suo lavoro?

Furono la Francia, la Germania e i Paesi del Nord Europa i primi a credere nel suo lavoro. In Italia aveva già un gruppo di collezionisti e critici che lo apprezzavano, ma era molto discusso: il che lo divertiva moltissimo. Perché era un uomo fuori da tutti gli schemi, ma anche perché era un artista consapevole del suo valore. Fontana si proponeva con molta umiltà negli ambienti artistici ma con la consapevolezza dell’importanza del suo lavoro: era sicuro non del suo successo, ma della qualità della sua arte. In ogni caso, benché Fontana avesse già esposto in gallerie importanti come la Marlborough o Jolas, in mostre internazionali come la Biennale di San Paolo e documenta di Kassel e avesse avuto personali al MoMA, allo Stedelijk e in altri grandi musei del mondo, la vera, definitiva consacrazione (per l’Italia specialmente) fu la Biennale di Venezia del 1966, quando espose nella sua sala le famose grandi tele bianche attraversate da un unico taglio e ricevette il Gran premio internazionale per la Pittura.

Fontana sarebbe morto due anni dopo, a 69 anni. Prese il via allora l’Archivio, di cui subito lei fece parte. Lei aveva già lavorato nel mondo dell’arte? Ed esisteva una documentazione del lavoro di Fontana?

Fin dagli anni Cinquanta fui spettatrice attenta e curiosa di questo mondo e mi appassionai all’arte moderna e contemporanea: mio marito Graziano Laurini, medico e collezionista, amava visitare gli studi degli artisti e con Fontana scattò subito un’amicizia speciale, che si estese a noi mogli. Tornando alla fondazione, che è ciò che mi interessa di più, non è stato facile recuperare la documentazione lasciata da Lucio: nello studio non ne trovammo traccia; oltre a questo, alla sua morte, che lo colse dopo che si era trasferito a Comabbio, molte cose andarono disperse. Con Mario Bardini e mio marito, Teresita prese in mano la situazione e istituì l’Archivio. Le schede, oggi informatizzate, erano cartacee e manoscritte: le conserviamo tuttora e sono il nostro vero grande tesoro, indispensabili per ricostruire la storia di ogni opera. In queste schede ritrovo l’amica carissima e compagna di lavoro Valeria Ernesti, con cui le compilavamo meticolosamente. Quanto alla sede, che ci attendevamo dalle istituzioni, fu subito chiaro che non sarebbe mai arrivata. Così decidemmo di muoverci noi collezionisti, a livello amicale: ricordo che la prima riunione si tenne a casa nostra. Potevamo però contare su Enrico Crispolti, allora giovane studioso, la cui presenza fu e sarebbe stata preziosa. Nel 1969 aprimmo la sede dell’Archivio Lucio Fontana in palazzo Cicogna, dove siamo tuttora ma in cortile, poi nel 1982 avviammo con Teresita la pratica per istituire una fondazione nazionale, che fu firmata nel 1984: fu uno degli ultimi atti del presidente Pertini. Oggi, se dovessi fare un bilancio, sarebbe sicuramente positivo: Lucio è un grande artista e noi lo abbiamo difeso con grinta, la sua importanza nel panorama dell’arte contemporanea è riconosciuta con sempre crescente interesse.

La fondazione promuove studi, pubblica i cataloghi ragionati, autentica le opere, collabora con istituzioni internazionali, partecipa e promuove mostre. Come si finanzia?

I finanziamenti ci derivano dai diritti d’autore, dal diritto di seguito e dal patrimonio artistico legato alla fondazione da Teresita. Tuttavia, benché lo statuto preveda la possibilità di vendere opere «minori» in caso di necessità, sinora lo abbiamo fatto solo per finanziare opere straordinarie come i cataloghi generali. Da un anno, poi, chiediamo un contributo sui costi di ricerca a chi sottopone le opere alla nostra Commissione artistica per l’autenticazione e l’archiviazione (il controllo delle opere già presenti in archivio è invece gratuito).

Quante richieste di partecipazione a mostre ricevete ogni anno?

Decisamente tante, e vanno sempre crescendo. Anche qui cerchiamo di essere molto rigorosi nella gestione dell’opera di Fontana e di non inflazionarlo con troppe presenze. Bisogna saper dire dei no. È un lavoro impegnativo ma al mio fianco ora ci sono Silvia Ardemagni (il suo braccio destro, Ndr) e due giovani storici dell’arte, Maria Villa e Federico Torra, tutti pieni di entusiasmo come eravamo Valeria Ernesti e io, e come dopo tanti anni io continuo a essere.

Le quotazioni di Fontana sono ormai elevatissime. Come proteggete la sua opera dai falsi?

Sul mercato, è vero, circolano dei falsi. Ed è fisiologico visti i valori di mercato, ma posso dire che negli ultimi tempi sono diminuiti. Credo che abbia pagato la politica di rigore che perseguiamo da sempre, anche con l’aiuto dei Carabinieri del Nucleo di Tutela dei Beni culturali. Oggi la qualità dei falsi è aumentata ma esistono gli strumenti per smascherarli. Anche opere erroneamente ritenute facili da falsificare, come i «tagli», hanno in realtà caratteristiche ben precise che ci permettono di riconoscere gli originali.

Il caso più recente in cui vi siete impegnati nella tutela dell’opera di Fontana?

Per discrezione non possiamo menzionare casi espliciti, ma ci impegniamo a difendere con determinazione l’opera e la memoria di Fontana che, tra le altre cose, ha regalato a Milano interventi di respiro ambientale, concepiti in collaborazione con grandi architetti. Questi lavori, che non sono ancora conosciuti come meritano, rischiano di essere compromessi dal piglio ricostruttivo della modernità e vanno difesi anch’essi con l’identica determinazione.

Ada Masoero, 24 novembre 2022 | © Riproduzione riservata

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