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Michela Moro
Leggi i suoi articoliGli spazi del MASI sede del LAC accolgono diverse mostre che declinano la capacità del museo di un’offerta variegata, primo tra tutti l’omaggio a Hans Josephsohn (1920-2012) nel centenario della nascita (fino al 21 febbraio). Lo scultore elvetico ha dedicato la sua ricerca allo studio della figura umana in ogni possibile condizione. Le sue opere sono spesso in gesso, materiale scelto per la duttilità. Sono esposti lavori dagli anni ’50 ai primi 2000, che diluiscono nel tempo l’aspetto figurativo per entrare in una dimensione più esistenziale. Interessante anche il documentario a corredo dell’esposizione, dove un energetico Josephsohn più che ottantenne racconta il suo punto di vista sul fare scultura, mentre scalpella un’opera con vigore.
Di tono completamente diverso è «Tra le ciglia», il lavoro di PAM, al secolo Paolo Mazzucchelli, nato a Lugano nel 1954 (fino al 28 marzo). Il MASI propone una vasta scelta di opere di diversi periodi, spesso monumentali, tutte accomunate dal riconoscibile segno dell’artista che utilizza tecniche miste su tela e carta, sovrapponendo diversi strati di carbone e china e rendendo ogni lavoro leggibile in più modi. La scrittura che integra la parte pittorica dei lavori è un alfabeto da decifrare. Le diverse tecniche d’incisione hanno un posto importante nella pratica di Mazzucchelli, che riconosce nelle sue corde la Beat generation, l’arte psichedelica e la letteratura underground.
Il ciclo «Ancora una stagione per riflettere» del 2018-19 riunisce le realizzazioni a stampa più recenti, omaggi ad amici scomparsi. La natura dagli anni ’90 emerge vigorosa nel corpus di Mazzucchelli e la mostra ne offre varie serie, tra cui i «Giardini Immaginari». Intriganti i grandi disegni a carboncino del ciclo sull’attivista brasiliano Chico Mendes, con cui l’artista si aggiudicò la Borsa Federale delle belle arti per due anni di seguito nel 1993. Una ventina di lavori di Mazzucchelli fanno parte della collezione del Credit Suisse.
Nella sede MASI di Palazzo Reali è allestita la mostra fotografica «Vincenzo Vicari fotografo. Il Ticino che cambia», fino al 10 gennaio. Vicari (1911-2007), fotografo ticinese attivo a Lugano dal 1936, ha illustrato la trasformazione del territorio dal mondo rurale del dopoguerra all’urbanizzazione degli anni ’80. In ordine cronologico sono esposte oltre cento immagini in bianco e nero e a colori: un percorso eterogeneo e affascinante che include la salumeria Fuchs e la pasticceria Unternährer, il grande magazzino Innovazione negli anni ’40, le barche ad arcioni della Riva Granda a Gandria e le lavandaie di Morcote, il Trio Lescano alla Radio della Svizzera Italiana negli anni ’30, le facili ironie maschili alle votazioni femminili del 1957, sino alle foto a colori degli anni ’80. Spesso Vicari sovrappone gli scatti nel tempo, ritorna in alcuni luoghi e su diversi soggetti, ma il suo sguardo non è mai nostalgico o critico: documenta la realtà che lo circonda e il passaggio del tempo e ci restituisce un Ticino senza censure.
Sempre nelle sale di Palazzo Reali è possibile visitare una scelta di opere dalla Collezione (fino al 31 dicembre). In mostra oltre all’intervento in situ di Niele Toroni e allo Spartaco di Vincenzo Vela, opere di Edoardo Berta, Umberto Boccioni, Filippo Boldini, Antonio Chiattone, Antonio Ciseri, Carlo Crivelli, Filippo Franzoni, Ferdinand Hodler, Angelika Kauffmann, Maestro di Lonigo, Gaetano Previati, Antonio Rinaldi, Giovanni Pietro Rizzoli, Tommaso Rodari, Giovanni Serodine e Niele Toroni solo per citarne alcuni.

«Airolo sepolto dalla valanga che si è staccata dalla Valascia» di Vincenzo Vicari (particolare)

«Da dove veniamo? Dove andiamo» di Paolo Mazzucchelli. © Maurizio De Marchi