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Stefano Luppi
Leggi i suoi articoli«Giovedì 27 ottobre 1960. I Nouveaux Réalistes hanno preso coscienza della loro singolarità collettiva. Nuovo Realismo = nuovo approccio percettivo del reale», così si legge nel manifesto firmato dagli artisti Arman (Armand Pierre Fernandez, 1928-2005), César (César Baldaccini, 1921-98), Raymond Hains (1926-2005), Yves Klein (1928-62), Martial Raysse (Issigeac, 1936), Daniel Spoerri (1930-2024), Niki de Saint Phalle (1930-2002) e altri. Sono dunque passati sessantacinque anni da quando li radunò Pierre Restany (1930-2003), definendoli «Les Nouveaux Réalistes» dal titolo del saggio pubblicato nella primavera di quello stesso anno in concomitanza con una mostra collettiva alla Galleria Apollinaire di Milano.
Se tali artisti, pur nelle differenze di stile e poetica, possono essere facilmente accomunati da un medesimo sentire legato alla rappresentazione e all’appropriazione poetica dell’oggetto nell’uso quotidiano della società, nonché alla importanza degli spazi pubblici e del lavoro collettivo, forse non tutti sanno che si può individuare un «padre» storico e artistico per essi, operativo fino a pochi anni prima: Fernand Léger (Argentan, 1881-Gif-sur-Yvette, 1955). Lo stesso Restany, suo fervente ammiratore, individua nei suoi soggetti e nelle sue idee gli antesignani appunto delle accumulazioni di Arman, delle macchine inutili di Jean Tinguely, dei tableaux-pièges di Spoerri, delle compressioni di César o degli affichistes e décollages di Villeglé e Mimmo Rotella. Del resto il medesimo Léger, già negli anni Venti, definiva il proprio approccio artistico come un «Nuovo Realismo [...] una terribile invenzione per rendere il reale [...] le cui conseguenze possono essere incalcolabili».
Proprio al francese è dedicata la parte centrale della mostra «Fernand Léger! Yves Klein, Niki de Saint Phalle, Keith Haring...», allestita dal 27 settembre al primo febbraio 2026 nella Reggia di Venaria. A cura di Anne Dopffer con Rébecca François e Julie Guttierez, la rassegna illustra il legame di Léger con i Nuovi realisti e, come evidenzia il sottotitolo, anche con rappresentanti di altri movimenti e artisti coevi o poco successivi quali Robert Indiana (1928-2018) e May Wilson (1905-86) per la Pop art americana, Gilbert & George (Gilbert Prousch, 1943 e George Passmore, 1942), Keith Haring (1958-90). Grazie alle collezioni di due istituzioni pubbliche francesi, il Musée national Fernand Léger di Biot e il Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain (Mamac) di Nizza che hanno prestato una trentina di Léger, il percorso si dipana attraverso quattro sezioni. Si parte con «I cinque elementi», dedicata al rapporto con il mondo attraverso le ricerche plastiche del pop artista Alain Jacquet, di Arman, di Léger presente con «La Danseuse bleue» del 1930, della riflessione filosofica sul colore di Yves Klein, mentre la seconda parte, «La vita degli oggetti», si focalizza sul simbolo della società moderna, appunto l’oggetto e i suoi diversi «trattamenti», con «Nature Morte, A.B.C» di Léger (1927), «Terre Haute N°2» di Indiana (1927), «Nissa Bella» di Martial Raysse (1964). La terza sezione «L’arte è la vita» si occupa di tempo libero, spettacolo, emancipazione dei corpi avvenuta nel secondo ’900 con, tra le altre, le opere «Flower Worship» (1982) di Gilbert & George, «Les Quatre cycliste» di Lèger e la serigrafia di Niki de Saint Phalle «Joséphine Baker». La mostra, coorganizzata da Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, GrandPalaisRmn, Musées nationaux du XXe siècle des Alpes-Maritimes/Musée national Fernand Léger di Biot e Musée d’Art Moderne et d’Art Contemporain (Mamac) di Nizza in collaborazione con Manifesto Expo e MondoMostre, termina con la sezione «La bellezza è ovunque» esemplificata da «Composition pour une peinture murale» di Léger e «Untitled (n° 2557)» di Haring.

Fernand Léger, «La Danzatrice blu», 1930, Parigi, Centre Pompidou, Musée National d’Art Moderne-Centre de Création Industrielle, (Mnam/CCI) in deposito presso Biot, Musée National Fernand Léger Dono di Paul Rosenberg, 1946. © GrandPalaisRmn / Adrien Didierjean. © Fernand Léger, by Siae 2025