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Bernardo Strozzi, «Martirio di sant’Orsola», 1618-20 ca

Courtesy of Collezione Koelliker

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Bernardo Strozzi, «Martirio di sant’Orsola», 1618-20 ca

Courtesy of Collezione Koelliker

Cabinet, Wunderkammer e sogni di libertà da BKV

Due mostre nello spazio espositivo milanese mettono in scena un duplice dialogo: tra le Collezioni Koelliker e Scarzella, tra Bernardo Strozzi e Piero Manzoni

Affinità e diversità, somiglianze e differenze: su queste dicotomie si giocano le due mostre presentate dal 17 ottobre al 19 dicembre da BKV Fine Art, nella sede di via Fontana 16, che si arricchisce in quest’occasione di un nuovo spazio espositivo. Qui trova posto «Cabinet. La Collezione Scarzella in dialogo con la Collezione Koelliker», un progetto ideato da Edoardo Koelliker e curato da Giovanna Manzotti, che sin dal titolo denuncia il suo modello, rinviando a quegli stipi (i «cabinet de curiosité») che nel ’500 e ’700 affollavano le Wunderkammer (o, per estensione, le Wunderkammer stesse) dove aristocratici ed eruditi custodivano gli oggetti più singolari e stupefacenti delle loro collezioni in un voluto, alogico «disordine». Lo stupore nasce qui anche dal dialogo, in apparenza dissonante, tra alcune delle antiche preziosità riunite da Luigi Koelliker in una vita di ricerche (1.500 solo i dipinti antichi da lui raccolti, oltre a sculture e innumerevoli esempi di arti decorative) e le opere contemporanee della Collezione Scarzella, in un intreccio da cui, nota Giovanna Manzotti, emerge «un assortimento di contaminazioni visive, storiche e culturali, un gioco di simmetrie, incroci e corrispondenze». Così, dopo la «ciliegia» di «Hearts on Ice» (2024), un complesso lavoro di Jack O’Brien dai molti rimandi simbolici e culturali, sulla parete maggiore si confrontano i lavori, tutti recentissimi, di Kelsey Isaacs, Sharif Farrag, Heidi Lau («Cave», 2023, sorta di ramo di corallo di pasta di vetro azzurra, in dialogo con uno dei classici rami di corallo naturali delle Wunderkammer) e poi vasi, brocche, coppe, utensili, oreficerie, soprammobili, cofanetti e altri oggetti della Collezione Koelliker che recitano le loro storie su un fondale floreale. C’è Gino De Dominicis, con una tavoletta del ciclo «Urvasi e Gilgamesh» e ci sono due alchemici disegni di Fabrizio Cotognini e lavori di Bri Williams e Brianna Leatherbury e di Monia Ben Hamouda, fino al ritratto, attribuito a Lorenzo Lotto, di un umanista che pare interrogarsi sulle presenze che lo circondano. 

In contemporanea, negli spazi consueti della galleria, va in scena un altro dialogo solo all’apparenza stridulo, quello tra Bernardo Strozzi (Genova, 1581-Venezia, 1644) e Piero Manzoni (Soncino, 1933-Milano, 1963), fondato sul binomio «Presenza Assenza», cioè sul Barocco rigoglioso del primo (detto «il Prete genovese» o «il Cappuccino», per aver preso i voti) e l’azzeramento visivo degli «Achromes» del (laicissimo) secondo. Di umile estrazione uno, nobile per nascita l’altro, i due artisti anche per questo parrebbero agli antipodi ma entrambi furono autodidatti, non necessitando l’arte ai loro occhi di studi accademici ma solo di una forza interiore, ed entrambi erano spinti da una tensione sperimentale guidata dall’identico bisogno di libertà. Nella mostra (realizzata con Fondazione Piero Manzoni, rappresentata da Hauser&Wirth, con il supporto di Aon) e accompagnata da un catalogo con testi di Flaminio Gualdoni e Gabriele Reina, figurano dieci tra importanti ritratti e nature morte, oltre al celebre «Martirio di sant’Orsola» (1618-1620 ca), di Strozzi, e 14 opere di Manzoni, tra le quali il magnifico «Achrome» (caolino e tela grinzata) del 1958-59, appartenenti a collezioni private e alla Fondazione a lui intitolata.

Piero Manzoni, «Achrome», 1960 ca. Courtesy Fondazione Piero Manzoni, Milano

Ada Masoero, 16 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Cabinet, Wunderkammer e sogni di libertà da BKV | Ada Masoero

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