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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliAllievo di Marino Marini, assiduo frequentatore di Duchamp, incline ad accogliere le suggestioni della letteratura e del mito, della scultura classica e dell’arte concettuale, Alik Cavaliere (1926-98) è un personaggio complesso.
A ripercorrerne la vicenda artistica è una piccola mostra organizzata da Sotheby’s in Palazzo Serbelloni dal 4 all’8 aprile e curata da Angela Vettese. Sono esposte sette sculture realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Novanta.
Le più vecchie sono «Studio per giochi proibiti» e «Fine di un amore», accompagnate dai dipinti preparatori; sono opere in bronzo in cui l’artista affronta la relazione tra uomo e natura, ragione e istinto, temi che rimarranno centrali in tutta la sua carriera.
Nel 1965-67 realizza «Il cortile», una composizione in cui una natura rigogliosa è contenuta a stento e provvisoriamente in una struttura in resina e porcellana che simboleggia la città. Anche in «…e venne la pioggia» del 1968 l’immagine che Cavaliere dà della natura è quella di una forza che crea e distrugge al tempo stesso. Dal sapore metafisico è invece «Albero cambio» del 1987, alle cui radici si sviluppa una città sotterranea.
Il lavoro più recente è «Dafne» del 1991. Tra frammenti di alloro ingigantiti si scorge la silhouette della ninfa, o meglio il suo contorno intagliato in un foglio di ottone come lo spettro di qualcuno che si è perduto per sempre.
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