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Michela Moro
Leggi i suoi articoliHidetoshi Nagasawa (1940-2018) ha vissuto in Italia dal 1967 al 2018, principalmente in Lombardia, dove decise di fermarsi quando a Milano gli fu rubata la bicicletta con la quale era partito dal Giappone un anno e mezzo prima. Architetto di formazione, era nato in Manciuria, ma fu costretto a lasciare bruscamente il Paese, insieme alla famiglia, a seguito dell’invasione sovietica. Il tema del viaggio rimase topico nel corpus della sua pratica. Si stabilì a Sesto San Giovanni e strinse legami intellettuali e artistici tra gli altri con Enrico Castellani, Mario Nigro e soprattutto con Luciano Fabro e Jole de Sanna, coi quali fondò a Milano la Casa degli Artisti nel 1979.
Nagasawa «torna» a Milano con una grande retrospettiva da Building Gallery (dal 4 aprile al 20 luglio), a cura di Giorgio Verzotti, che ripercorre la carriera dell’artista con circa 40 opere che documentano l’intero arco della sua attività: dai video delle performances (vicine a Land e Body Art), alle prime sculture, dove il gesto è sempre matrice, fino ad approdare alle sculture di grandi dimensioni spesso giocate su equilibri arditi, la cifra più tipica di Nagasawa.
Il suo linguaggio è una fusione fra la cultura occidentale e quella orientale, le opere erano concepite dall’artista secondo la filosofia Zen che ha sempre guidato la sua visione del mondo, e applicando il principio del Ma, che si avvicina al nostro concetto di intervallo o di vuoto, crea un vuoto generativo di energia e di forma, come in «Colonna» (1972), opera in marmo sviluppata a pavimento e costituita da segmenti di vari colori e provenienti da luoghi diversi, inframmezzati da minimi spazi, vuoti, ma visibili. «In quel piccolo spazio, ha scritto l’artista, si chiude la distanza dei loro viaggi e la loro storia».
La mostra pone l’attenzione anche sul rapporto tra opera e architettura, sulla tensione verso una scultura che, anche con dimensioni monumentali, può sembrare senza peso fino a essere sospesa nello spazio.
Il tema della barca, ricorrente nella poetica di Nagasawa e legato agli eventi autobiografici, è affrontato con due opere della serie «Barche», che lo declinano in modo diverso: quella del 1980-81 è in marmo, terra e albero, mentre quella del 1983-85 è in ottone e carta.
In mostra tre sculture inedite in marmo, esposte al pubblico per la prima volta, «Ermafrodito», «Cubo» e «Nastro», tutte del 2012, e una scelta fra i numerosi lavori su carta dell’artista. Nagasawa ha partecipato tra l’altro a cinque Biennali di Venezia, alla IX edizione di Documenta, e ha esposto in vari musei. A Milano, dove è stato docente alla Naba, Nuova Accademia di Belle Arti, e all’Accademia di Brera, ha avuto un ruolo di rilievo e riconoscimenti.
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«Oro di Ofir» (1971,) di Hidetoshi Nagasawa
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