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Michela Moro
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La conferenza che René Magritte (1898-1967) tenne nel 1938 al Kmska-Museo Reale di Belle Arti di Anversa, intitolata «La ligne de vie», il giorno prima del suo 40mo compleanno, fu un evento unico, la lezione più esaustiva di Magritte, che in quell’occasione offrì una rara panoramica sul proprio lavoro, analizzando con grande chiarezza il proprio processo artistico e l’evoluzione della sua carriera, in una sorta di retrospettiva ventennale. Magritte spiegò il «processo» della sua pittura, piuttosto che le singole opere, e una parte significativa del discorso fu di natura politica. Così le opere che ancor oggi tanto sollecitano la nostra immaginazione, mostrando il mistero indefinibile del reale, si aggiungono di significati più profondi. La presenza e la lezione di Magritte ad Anversa furono cruciali per lo sviluppo del gruppo surrealista, fornendo ispirazione e contribuendo alla sua evoluzione. Purtroppo, dell’evento rimasero a futura memoria solo il testo e una fotografia dell’artista con alcuni amici, scattata quasi per caso lungo il fiume della città. Quasi novant’anni dopo, Magritte ritorna al Kmska, con un’intrigante mostra-lezione e la sua voce ci guida con le parole di quella conferenza attraverso le sale del museo, in un percorso che illustra lo sviluppo della sua visione.
Grazie all’Intelligenza Artificiale, utilizzando una voce generata dall’AI tratta da interviste note, è stato possibile ricostruire l’intero discorso che, diviso in capitoli e relative opere, ricompone il percorso unico e illuminante di uno dei maestri del Surrealismo: «Magritte. La ligne de vie», curata da Xavier Canonne e aperta fino al 22 febbraio 2026.
Kmska è il museo che meglio rappresenta la cultura belga nei secoli e che ospita opere dal XIV al XX secolo, con un gran numero di fiamminghi, capolavori di Antonello da Messina, Simone Martini, Jan van Eyck, Tiziano, Peter Paul Rubens, Amedeo Modigliani, Magritte, Alechinsky, Rodin, Delvaux e Chagall, per citarne alcuni, oltre alla più rilevante collezione al mondo di opere di James Ensor. Ha origine nel 1382, con la Corporazione di San Luca di cui facevano parte pittori, scultori, ricamatori, orafi e argentieri di Anversa. L’importantissima collezione continua fino al 1890, quando si trasforma nel Museo di Belle Arti, che arriva a noi, ristrutturato nel 2022.
La mostra segue il discorso, che aveva già un’impostazione cronologica, con dipinti anche poco conosciuti, come quelli degli albori, quando Magritte sperimentò Cubismo e Futurismo. Punto di svolta fu l’incontro con l’opera di Giorgio de Chirico, «Canto d’amore» (1914), attualmente al MoOMA di New York, che lo ispirò profondamente e lo spinse verso il Surrealismo.
Le sue prime pitture surrealiste mostrano elementi tipici, ad esempio la sostituzione di oggetti, una rosa al posto del cuore, e un’atmosfera misteriosa, come in «Femme Ayant une rose à la place du cœur» (1924).
René Magritte, «La vendetta», 1956, Anversa, Kmska-Koninklijk Museum voor Schone Kunsten Antwerpen. © Succession René Magritte-Sabam Belgium, 2025. Photo: Hugo Maertens
René Magritte, «Il sapore delle lacrime», 1946, collezione privata. © Succession René Magritte-Sabam Belgium, 2025
Magritte, pur avendo una tecnica pittorica eccellente, frutto anche della sua professione di pubblicitario, mirava ad andare direttamente all’idea, mostrando cose mai mostrate né create per produrre uno shock poetico. Max Ernst e i suoi collage rappresentarono un’altra influenza fondamentale, portando Magritte a esplorare il concetto di interno-esterno.
Il percorso di circa 90 opere è punteggiato da moltissimi disegni, riviste e fotografie dei vari periodi e la voce del curatore Canonne, con quella di Lisa van Geven, curatrice del Kmska, si sovrappone a quella di Magritte nel descrivere i temi ricorrenti che arrivano fino a noi, come visibile e invisibile: «La reponse imprevue» (1933) presenta una porta aperta e chiusa contemporaneamente, invitandoci a immaginare ciò che è celato. Per Magritte, le cose nascoste esistono comunque, anche se non le vediamo, così come il cielo, che per Magritte che non esiste davvero e che possiamo conoscere solo grazie alle nuvole, come ne «La Malédiction» (1931), titolo che si pone in totale opposizione ai sentimenti di benessere che il cielo potrebbe evocare.
Già, il ruolo dei titoli, spesso discussi collettivamente con i suoi amici: Magritte non voleva titoli descrittivi, ma che spingessero lo spettatore a diventare complice, a riflettere sul significato profondo dell’opera. Ecco allora «La Clé des Champs» (1936), che presenta una finestra con un paesaggio frantumato ma visibile. Il titolo francese è un’espressione per scappare o fuggire, suggerendo un modo per evadere o per accedere a ciò che si nasconde dietro una prospettiva. «Le Modèle Rouge», dal titolo con implicazioni politiche, riferendosi al «modello rosso» del comunismo, presenta piedi che si trasformano in scarpe, realizzati in diverse versioni dal 1935, sollevando domande sul progresso dell’industrializzazione. «In memoriam Mack Sennet» (1936) riflette l’amore di Magritte per il cinema muto della sua infanzia, con l’immagine di un vestito da sera animato da un seno femminile chiuso in un armadio.
Sono esposti lavori anche del periodo Vache, quando dal 1943 Magritte iniziò a dipingere usando colori caldi e un tocco vivace, nel tentativo di portare luce e calore nella vita delle persone durante i tempi scuri della guerra. Fu molto criticato, soprattutto da André Breton e dal Surrealismo parigino. Magritte, orgoglioso e teorico, lo intendeva come una provocazione ai surrealisti francesi, che si concentravano sul subconscio, a differenza del suo approccio cerebrale e intellettuale. Malgrado le critiche si dice che Magritte fosse stato molto felice di dipingere così, trovando lo stile liberatorio. La copertina di «Minotaure» (1937) potrebbe essere letta in relazione alla guerra civile spagnola, e «Le Retours de Flamme» (1943) è dedicato a Fantomas, passione dell’artista, mentre la mostra è un’occasione unica per vedere le illustrazioni del romanzo erotico di Georges Bataille Madame Eduarda (1946), mai pubblicate per il contenuto troppo pruriginoso. La mostra si conclude con gli aspetti meno noti della carriera di Magritte, concentrandosi sulla sua incursione nella scultura, esplorata grazie al gallerista Alexander Jolas, che lo spinse a realizzare otto temi dalle sue pitture esistenti, disegnandone i modelli.
Un’occasione unica per imparare Magritte da Magritte.